Lorenzo Quadri, presidente della deputazione ticinese alle Camere federali
Martedì si è tenuta a Lugano la cosiddetta “giornata del presidente” della Deputazione ticinese alle Camere federali. Si tratta di un evento che il comune di domicilio del presidente della DTI è solito organizzare: questa volta la particolarità sta nel fatto che il festeggiato era un leghista, ossia il consigliere nazionale e municipale di Lugano Lorenzo Quadri.
«In effetti – precisa Quadri – l’anno presidenziale inizia il primo gennaio e finisce il 31 dicembre. Quindi non sono diventato presidente ora, anzi sono già oltre la metà del guado. Per tradizione però la giornata del presidente viene organizzata a fine agosto, non saprei dire il perché».
E’ una carica onerosa?
Certamente comporta del lavoro aggiuntivo. Come è in genere il caso nel nostro Paese, queste cariche non conferiscono un “potere” reale, oltretutto ruotano di anno in anno. Permettono però di dare maggior peso, nell’agenda della Deputazione, ai problemi che si ritengono prioritari.
Ma Berna ascolta o no il Ticino?
Si potrebbe dire che ascolta ma non sente. Ne abbiamo avuto l’ennesima conferma solo nei giorni scorsi, con il njet all’abolizione delle notifiche online per padroncini e distaccati, ed il reiterato njet a far pagare anche a questi operatori l’IVA sui primi 10mila Fr di prestazioni: al momento non lo fanno e questo comporta una discriminazione inaccettabile, in casa nostra, a danno di artigiani e ditte ticinesi. Un vero schiaffo per il Ticino. E’ inaccettabile che da un lato i Consiglieri federali, quando arrivano il primo d’agosto in elicottero, affermino di avere “comprensione” per il nostro Cantone, ma poi se ne dimentichino immediatamente appena tornati Oltregottardo. L’invasione di padroncini e frontalieri non è uno scherzo. E’ il principale problema del Ticino e dei Ticinesi, con conseguenze occupazionali e sociali devastanti. Restare sordi è, da parte dei governanti di Berna, un atteggiamento al limite del criminoso.
Il nostro Cantone deve fare mea culpa?
Se siamo i primi a considerarci delle Cenerentole, non dobbiamo poi lamentarci se veniamo effettivamente considerati tali. Tuttavia, se la tanto decantata “comprensione” si traduce poi, alla prova dei fatti, in njet su tutta la linea su questioni che sono per noi fondamentali, allora vuol dire che bisogna cambiare strategia. Se seguire le vie di servizio, se essere ligi alle regole non porta a risultati, allora bisogna procedere a qualche strappo. Non ci sono alternative. Ricordiamoci che Berna si è accorta, temporaneamente, dei problemi con l’Italia solo a seguito del blocco dei ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri. L’errore è stato quello di sbloccarli perché, non appena si è rientrati nella normalità e legalità, la Confederazione ha smesso di occuparsi del Ticino. Perché il cruccio del Consiglio federale non è certo il mercato del lavoro ticinese che va in malora: è il mancato rispetto degli accordi internazionali.
Quindi?
Se abbiamo avuto il coraggio di fare un gesto forte una volta, possiamo farlo ancora. Sia nel campo del frontalierato che in quello dei premi di cassa malati – per citare due problemi molto attuali – ci sono dei margini di manovra. Ad esempio, sono d’accordo con il blocco dei nuovi permessi G, per lo meno nel settore terziario, visto che il numero dei frontalieri continua a crescere senza alcun controllo. E ritengo pure che i 380 milioni di premi di cassa malati pagati in eccesso che sicuramente a livello federale non ci verranno restituiti, vanno dedotti dai versamenti che il Ticino fa alla Confederazione.
MDD