Il 23 settembre votiamo NO alla “Scuola che verrà”: ideologica, nociva, costosissima

Manca poco alla votazione sulla “Scuola che verrà” (23 settembre). Per scoraggiare l’elettorato dall’interessarsi al tema (si sa che il popolazzo becero vota sbagliato) il compagno direttore del DECS ed i suoi purpurei galoppini dipartimentali l’hanno reso incomprensibile ai più. Come se la scuola non fosse una questione che riguarda tutta la società, ma un tema “di nicchia” per addetti ai lavori. Che però, ma guarda un po’, non sono dei tecnici sopra le parti, ma promuovono invece un’ideologia precisa. Quella del compagno capodipartimento che li ha messi lì (magari senza concorso pubblico).

Nervosismo sopra il livello di guardia

Ed infatti il nervosismo del direttore del DECS ha da tempo superato i livelli di guardia, visto che reagisce alle critiche al suo tentativo di creare la scuola pubblica socialista sprizzando bile, arroganza ed accuse denigratorie. Si vede che gli argomenti a sostegno della sua riforma non sono poi così granitici. E’ probabile che il capodipartimento tema un’altra asfaltatura, analoga a quella già rimediata con la votazione sull’insegnamento della civica. A conferma della “fifa blu”, i soldatini del P$ sono già all’opera, con i metodi consueti dei $inistrati: odio ed attacchi personali. Esempio da manuale: la penosa vignetta, con manifeste allusioni alla pedofilia, ideata contro Sergio Morisoli dal pluricondannato coordinatore (?) del portale Gas (intestinale).

Ancora più ugualitarista

Sta di fatto che la scuola ticinese è già la più egualitarista di tutta la Svizzera. Adesso, ad oltre quarant’anni dall’ultima riforma, cosa “si” pensa di fare? Ma di renderla ancora più egualitarista, proponendo modelli già falliti altrove. Il livellamento verso il basso contenuto nella Scuola che verrà, contrariamente a quanto dichiara con ira il capodipartimento, non è una fantasia malata, ma una realtà. In Ticino il mondo del lavoro diventa sempre più selettivo. Ciò in particolare, ma guarda un po’, a causa delle frontiere spalancate. Volute in primis proprio dal P$. Grazie a queste “geniali” politiche di aperture, il Ticino dopo un secolo è ritornato ad essere terra di emigrazione. A seguito dell’invasione da sud, i nostri giovani devono – e sempre più dovranno – andarsene per avere un futuro. E la scuola rossa intende prepararli a cercare fortuna oltregottardo o all’estero a suon di egualitarismi ideologici e di livellamenti verso il basso? Facendosi le pippe mentali sulla “parità di arrivo”?

 

Serve il contrario

E perché mai la scuola ticinese, che è già la più egualitarista di tutta la Confederella, dovrebbe diventarlo ancora di più? Quando la realtà fuori dalla scuola pretende semmai proprio il contrario, ovvero maggiore selettività e un freno alla “spinta dirompente alla licealizzazione” (ovvero: tutti “devono” avere accesso al liceo)? Una spinta che ha due conseguenze deleterie: 1) trasformazione dei licei in parcheggi invece di scuole frequentate da chi ha la motivazione, l’intenzione e le capacità necessarie ad accedere ad una formazione universitaria; 2) svilimento dell’apprendistato, troppo spesso visto come “refugium peccatorum”. E dire che la nostra formazione duale (scuola e lavoro) è ammirata in tutto il mondo.

Silenzio assordante

Fa specie al proposito che, mentre fioccano le prese di posizione pro-Scuola che verrà ad opera di associazioni contigue al PS (vedi ad esempio quella dei docenti di storia, che già combattevano l’insegnamento della civica) i rappresentanti dell’economia, solitamente loquaci, non abbiano nulla da dire a proposito dello scadimento programmato della scuola ticinese. Perso la favella? Troppo impegnati nelle fake news e nel terrorismo di regime a sostegno della devastante libera circolazione delle persone, dello sconcio accordo quadro istituzionale e dei giudici stranieri? Imbarazz tremend imbarazz perché i loro soldatini nel parlamento cantonale si sono fatti infinocchiare dal capo del DECS? Oppure le associazioni economiche stanno contando i soldoni del solito sfigato contribuente che l’ente pubblico dovrà spendere – e quindi deliberare ai loro associati – per adattare le sedi scolastiche alle esigenze della scuola rossa (spazi per laboratori, atelier, …) se quest’ultima dovesse venire accettata dalle urne?

E nümm a pagum

Già, i soldoni. La scuola che verrà, a regime, costerà almeno (almeno!)  35 milioni all’anno. Più quelli a carico dei Comuni: e questa “pillola”, ma guarda un po’, non l’ha quantificata nessuno. Oops, che sbadati! La fattura della sperimentazione triennale sarà invece di 6.7 milioncini. Quasi sette milioni per usare dei ragazzi e le loro famiglie come cavie.

Per farla breve, stiamo parlando di una barca di franchi pubblici,  che verrebbero spesi per sfasciare la scuola ticinese!

Per realizzare la scuola rossa, la partitocrazia mette le mani nelle tasche della gente. Quando però si tratta di sgravi fiscali al ceto medio ed ai single… gh’è mia da danée! Non facciamoci menare per il naso. Il 23 settembre, tutti a votare NO alla Scuola che (non) verrà!

Lorenzo Quadri