Certo che cominciamo bene! A quanto pare i ministri delle finanze dei cantoni romandi non apprezzano la proposta del Consiglio di Stato ticinese di una clausola di salvaguardia quale traduzione in realtà del voto del 9 febbraio.
Eh già: da quel voto è passato un anno ed otto mesi, e ancora siamo ai piedi della scala. Del resto i partiti $torici, le lobby economiche, gli spalancatori di frontiere, il Consiglio federale, la diplomazia svenduta e succube dell’UE non vogliono trasformare in realtà il “maledetto voto”; vogliono sabotarlo.

Emergenza lavoro
Il governo ticinese ha dato mandato all’ex segretario di Stato Ambühl di studiare un piano di attuazione del nuovo articolo costituzionale 121 a. Ne è emersa la proposta della clausola a salvaguardia del mercato del lavoro.
E’ certamente importante che venga messo l’accento sul disastro occupazionale provocato nel nostro Cantone dalla devastante libera circolazione delle persone senza limiti. In Ticino il plebiscito del 9 febbraio è dovuto principalmente all’invasione di frontalieri, mentre in Svizzera interna il Sì è più legato a questioni di immigrazione propriamente detta. La clausola questo accento lo mette. Ed è il suo lato positivo. Quello negativo è che, se a fare stato per l’applicazione dell’eventuale clausola sono i soliti indicatori taroccati della SECO, secondo i quali in Ticino non esiste un’emergenza lavoro ed anzi “tout va bien, Madame la Marquise”, alla fine è come non averla. Centrale rimane la preferenza indigena: non si assume nessun frontaliere se per quel posto di lavoro ci sono dei residenti a disposizione.

Niente di nuovo
Settimana scorsa il direttore del DFE Christian Vitta ha presentato la clausola “ticinese” ai direttori cantonali delle finanze. Secondo LeTemps, i romandi non ne sarebbero rimasti entusiasti, anzi. Embè? Si tratta forse di un fulmine a ciel sereno? No di certo: i signori spalancatori di frontiere della Svizzera Occidentale non hanno ancora digerito il 9 febbraio, passato grazie al Ticino; figuriamoci se possono essere d’accordo, a freddo, di approvare le proposte che vengono da sud delle Alpi proprio in quest’ambito.
Che la posizione dei presenti all’illustre (?) consesso sia poi – come tenta di contrabbandare la stampa di regime – da considerarsi come quella dei Cantoni romandi, è assai opinabile: si tratta della posizione di singoli ministri. I quali sono esponenti del partito trasversale del “dobbiamo aprirci all’UE” – oltre che soldatini opportunamente istruiti dai padroni del vapore di Economiesuisse ed affini.

Tre cose chiare
Questo primo njet giunto dai direttori romandi delle finanze non è certo una sorpresa. Chi – vedi appunto i citati media di regime – monta la panna, lo fa solo in funzione del sabotaggio del “maledetto voto”. Il messaggio che si vuole far passare è sempre lo stesso: vedete che realizzare il 9 febbraio “sa po’ mia”? E allora bisogna rivotare.
Una cosa è chiara. Anzi tre.
1) La presunta solidarietà latina si conferma una bufala.
2) La situazione del Ticino non è paragonabile a quella di alcun’altra regione elvetica. Nemmeno a quella del Canton Ginevra. Che infatti confina con la Francia e non con l’Italia (situazione occupazionale allo sfacelo e cultura del lavoro nero). Non è esattamente la stessa cosa.
3) Il njet alla proposta ticinese da parte di alcuni politicanti romandi europeisti non vuole ancora dire nulla. E che alcuni dei citati signori si permettano pure osservazioni del piffero sul Ticino che ha osato indispettire Roma (uhhh, che pagüüüüraaaa!) con la richiesta del casellario giudiziale, dimostra solo la loro bieca sudditanza nei confronti di Bruxelles.
I ticinesi non molleranno di certo. Il 9 febbraio deve diventare realtà. Questo va ribadito nel modo più chiaro possibile; e questo passa anche per il sostegno elettorale a chi politicamente incarna il 9 febbraio,: ossia Lega ed Udc. C’è ancora qualche ora di tempo!
Lorenzo Quadri