Profughi ucraini: la casta pone le premesse per un’immigrazione definitiva. E la SEM…

Con la solita storiella della presunta carenza in Svizzera di lavoratori specializzati, la casta vuole mantenere qui in eterno i profughi ucraini. Peccato che con la medesima fanfaluca sia stata sdoganata la politica delle frontiere spalancate. Con il seguente risultato: dopo due decenni di immigrazione scriteriata, la presunta “carenza” non è affatto stata risolta. La situazione è sempre la stessa. Intanto però gli abitanti della Confederella sono cresciuti del 21% e adesso siamo qui in troppi. Il che, oltre non risolvere il problema iniziale, ne ha causati un’infinità di ulteriori. Quindi, un FLOP su tutta la linea.

Gli unici non qualificati…

I burocrati della SEM, Segreteria di Stato della migrazione, lamentano che solo il 15% dei profughi ucraini presenti in Svizzera ha un’attività lavorativa. Malgrado costoro siano – a detta della SEM – ben qualificati. Ah ecco. Gli unici non qualificati sarebbero dunque gli svizzerotti, mentre gli immigrati sono tutti luminari. Strano, ci risulta che le migliori università del mondo siano in Svizzera.

Il fatto che  solo il 15% dei permessi S lavori non è strano: si tratta infatti di persone tenute a  lasciare il paese quanto prima. Il loro permesso è “orientato al rimpatrio”. Ma la casta vuole puntare sulla loro integrazione professionale, a scapito dei residenti –  infiocchettandola con la teoria che è nell’interesse di tutti che i profughi si mantengano con le proprie risorse – per poi tenerli qui all’infinito.

Non c’è spazio per tutti

E’ evidente che sul mercato del lavoro ticinese, devastato dalla libera circolazione delle persone, non c’è posto per i ticinesi, per 80mila frontalieri e pure per i profughi ucraini. Lo scandalo è che i ticinesi, che dovrebbero avere la precedenza, risultano invece sempre ultimi.

Integrare i profughi ucraini nel mercato del lavoro significa creare le premesse affinché non ritornino mai più a casa loro. Andrà a finire come con i migranti della ex Jugoslavia.  Ma è evidente che, finché saremo invasi dai permessi G, di margine di manovra per far lavorare gli ucraini non ce ne sarà. Chiaro: sarebbe meglio che gli ucraini si mantenessero con le proprie risorse. Ma un numero sostanzioso di loro può farlo anche senza portar via il lavoro ai residenti: basta che venda le automobili di lusso, tanto per fare un esempio.

Un dato che parla da sé

Nei giorni scorsi la NZZ ha pubblicato le risultanze di un’indagine della SEM tra i profughi ucraini. L’80% degli interpellati dichiara che nel “prevedibile futuro” intende rimanere in Svizzera. Ma guarda un po’! Del resto, nella classifica mondiale degli stipendi, l’Ucraina è al 94 esimo posto, con salari che si aggirano sui 600 franchi al mese. Una persona senza formazione non raggiunge i 280. Un disoccupato riceve 170 franchi mensili per un anno. Qualcuno pensa che i permessi S, adesso che si sono “abituati” alla Confederella e soprattutto al suo stato sociale (campione di generosità con gli ultimi arrivati) intendano rimpatriare spontaneamente a guerra terminata, tornando in un paese devastato? Mai più! Prima della fine del conflitto, la percentuale degli intenzionati a restare qui sarà salita al 100%.

A caccia di scuse

Quando sarà finalmente tornata la pace, starà a Berna decretare che i profughi ucraini devono rientrare al loro paese. Ma chiaramente troverà tutte le scuse per NON farlo. Con il concreto sostegno della stampa di regime, che si inventerà storielle strappalacrime sui poveri profughi costretti ad andarsene. Storielle che i soliti boccaloni della politichetta (anche ticinese) non perderanno tempo a trasformare in risoluzioni parlamentari (vedi la pantomima sulle due asilanti afghane di Brione Verzasca).

Il permesso S dovrebbe essere “orientato al rimpatrio”. Lo è solo a parole. Nella pratica, invece, politicanti, burocrati e stampa di regime stanno “orientando” verso l’immigrazione definitiva. E da tempo stanno plagiando (infinocchiando) in tal senso il popolazzo, abituandolo all’idea!

Addirittura, si sdogana l’assurda pretesa che l’ente pubblico investa soldi dei contribuenti per formare ed assistere gli ucraini in modo da renderli più spendibili sul mercato, così che possano portare via il lavoro ai residenti. Ma si può essere più tafazziani di così? Ribadiamo il concetto: sul mercato del lavoro svizzero bisogna integrare gli svizzeri. I profughi ucraini, come dice lo statuto S, vanno “orientati al rimpatrio”. Ma sul serio.

E’ inaudito che burocrati, politicanti e giornalai starnazzino perché solo il 15% dei profughi ucraini lavora ma non emettano un cip nell’apprendere che l’80% di questi ultimi (ovvero praticamente tutti) a rientrare nel paese d’origine non ci pensa proprio!

Tutto è cambiato

E’ ben possibile che, all’inizio del conflitto, gli ucraini che arrivavano qui intendessero tornare a casa quanto prima. Tutti pensavano e speravano che la guerra sarebbe durata poco. Le cose però sono andate in modo molto diverso. Sicché, anche le intenzioni iniziali sono radicalmente cambiate. E ad andarci di mezzo siamo ancora noi!

Intanto a Berna la partitocrazia, per aiutare l’ormai santificata Ucraina, rottama la neutralità, ipoteca il futuro della Svizzera, impone ai cittadini il prezzo delle sanzioni, svuota le casse pubbliche e promette altri miliardi in regalo. Poi agli svizzerotti racconta che devono tirare la cinghia perché “gh’è mia da danée”!

Ma questi politicanti triciclati imbesuiti dal pensiero unico, un minimo di decenza non ce l’hanno proprio? Ricordarsene alle prossime elezioni!

Lorenzo Quadri