Un altro tassello di “svizzeritudine” che se ne va grazie alle scriteriate “aperture”

Ma chi l’avrebbe mai detto. La rivista “Cash” si accorge che, nelle offerte di lavoro, i curricola ritoccati vanno per la maggiore. Del resto anche la Svizzera ha avuto i suoi scandaletti con titoli accademici taroccati (come quello del direttore informatico dell’ospedale universitario di Zurigo, che si era comprato il dottorato) o ottenuti tramite tesi realizzate col sistema del “copia-incolla” (vedi il caso della consigliera nazionale PLR Doris Fiala).

Esistono delle società che si occupano professionalmente di verificare quanto viene indicato nei curriculum vitae che vengono presentati da chi si propone per un impiego. Queste società segnalano un vistoso aumento delle indicazioni fantasiose. Si va dai semplici ritocchi cosmetici alle vere e proprie panzane. Alcune grossolane, alcune perpetrate con maggiore astuzia.

E, rilevano gli esperti (non il Mattino della domenica) si fa sempre più fatica ad individuare le fregnacce, e questo a seguito dell’internazionalizzazione del mercato del lavoro.
Sempre più spesso compaiono infatti dei corsi di studio e delle scuole sconosciute.

Ennesimo regalo
E’ dunque evidente che qui siamo confrontati con l’ennesimo “regalo” da parte della devastante libera circolazione delle persone. Ricordiamoci con chi confiniamo: con la patria dei venditori del Colosseo e della fontana di Trevi. E ricordiamoci chi siamo: un paese dove, in nome della responsabilità individuale, la fiducia reciproca ha sempre svolto un ruolo importante. Non è nella nostra mentalità partire dal presupposto che chi abbiamo davanti ci stia fregando. Per altri, invece, il raggiro è un’abilità elevata ad arte.

Per cui, non osiamo nemmeno immaginare quanti titoli taroccati o abbelliti ci siamo portati in casa grazie alla libera circolazione delle persone. Vanno per la maggiore venditori di fumo in arrivo da oltreconfine che snocciolano formazioni e competenze altisonanti, con presentazioni grondanti “pocia” in cui una parola su due è in inglese. Obiettivo dell’operazione: impressionare lo svizzerotto di turno. C’è da temere che questo accada anche in ambiti ben vicini allo Stato (università? Ospedali? Uffici AI?)  e sarebbe interessante capire che controlli vengono fatti. Perché è ovvio che non basta fare un giro su google per scoprire le taroccature, occorre un grado di approfondimento maggiore.

Emigrazione?
Sicché mentre sempre più ticinesi di ogni età non trovano un lavoro (e per verificare una formazione professionale effettuata in Svizzera non c’è di sicuro bisogno di Sherlock Holmes)  chi, in arrivo dall’estero, viene assunto al loro posto magari perché può vantare un curricolo migliore (e una paga inferiore), magari ha pure raccontato un sacco di panzane. E chi è nato e cresciuto qui cosa deve fare? La risposta la si trova sul Caffè della Peppina domenicale, il settimanale antileghista redatto da frontalieri, che magnifica l’emigrazione come se fosse una forma di progresso. Eh certo: ormai più nessuno in Europa trova lavoro in casa propria e quindi è politikamente korretto e radikal-chic che anche il Ticino si adegui. Brillante come sempre.

La punta dell’iceberg?
Sarebbe anche interessante sapere cosa circola alle nostre latitudini nelle cosiddette professioni liberali. Ad esempio a finti medici, finti avvocati, e così via, provenienti da paesi lontani. Da varie associazioni di categoria, magari pure favorevoli alla libera circolazione poiché pensavano di esserne immuni, ogni tanto si leva qualche educata protesta. E poi? 

A volte qualche finto medico o finto avvocato salta fuori, e al proposito sarebbe interessante saperne di più (quanti? Di chi? In quali settori professionali?). In genere tuttavia dopo breve tran tran mediatico l’increscioso episodio viene messo via senza prete. Sicché il dubbio rimane: casi isolati o la punta dell’iceberg? La rivista “Cash”, citata in apertura, al proposito qualche suggerimento lo dà…
Allo stesso modo, il “pubblico”, il “consumatore”, se in passato davanti ad un titolo accademico poteva partire  dal presupposto che fosse vero, oggi, grazie all’ “internazionalizzazione del mercato del lavoro”, non può più essere così sicuro della persona che si trova di fronte.

Certamente il problema è pratico. Ma non solo. E’ un altro tassello di “svizzeritudine” che se ne va, in nome dell’internazionalismo che fa tanto progressista e politikamente korretto: perché “bisogna aprirsi”. E come al solito ci si apre al peggio.
Lorenzo Quadri