L’assistenza “self service” non sarà più finanziabile, dunque bisogna cominciare a selezionare: “prima i nostri”
E’ stata beccata di recente in dogana a Chiasso una donna italiana che continuava a beneficiare delle prestazioni assistenziali pagati dai ticinesotti anche se in realtà abitava da tempo in Italia. In questo modo la donna avrebbe truffato il contribuente per decine di migliaia di franchi (per la serie: tanto gli svizzerotti sono fessi e non si accorgono di niente). Naturalmente con i soldi dell’assistenza elvetica, si presume attorno ai 2200 Fr mensili, la signora nella vicina Penisola viveva alla grande.
Lugano: 24 milioni
La spesa per l’assistenza continua a crescere in direzione infinanziabilità.
Ad esempio, nel caso della città di Lugano, il numero di casi aperti è rimasto più o meno stabile attorno agli 800 fino al 2010. Ma poi è esploso in pochi anni. Di recente ha superato quota 1300. La spesa, ovviamente, è cresciuta di pari passo. Per Lugano la fattura totale (Cantone che paga tre quarti, Comune un quarto) ammonta a 24 milioni di Fr nel 2014, per una città di 70mila abitanti. E’ evidente che c’è qualcosa che non va.
Immigrazione uguale ricchezza?
A livello nazionale, tre quarti delle persone in assistenza hanno un passato migratorio: altro che “immigrazione uguale ricchezza”! A Lugano gli stranieri sono la maggioranza (leggera, ma pur sempre maggioranza) dei beneficiari d’assistenza; però sono il 37% della popolazione. La sproporzione è manifesta.
I permessi B in assistenza sono circa il 10% del totale, quando dovrebbero essere zero: si tratta di persone che ottengono di poter dimorare in Svizzera perché sono in grado di mantenersi da soli. Se non lo sono più vanno semplicemente allontanati dal paese: non devono avere alcun accesso alle prestazioni sociali.
Tanto più che, se per molti svizzeri, soprattutto di una certa età (purtroppo tra i giovani non è sempre il caso) l’assistenza era ed è l’ultima ratio, vissuta con pudore e vergogna – e per il minor tempo possibile, per persone provenienti da “altre culture” non è necessariamente così.
Abusi
Ci sono famiglie straniere in assistenza “intergenerazionale”. I genitori sono in assistenza, i figli crescono e vanno anche loro in assistenza. La dipendenza dallo stato sociale diventa un modo di vita. Se qualcuno avesse qualche scrupolo residuo a chiedere, ci pensa l’associazione ro$$a di turno ad invitarlo ad utilizzare il suo “diritto”. Che, specie in presenza di altre forme di aiuto sociale (assegni familiari, assegni di prima infanzia, eccetera) permette di vivere in modo sufficientemente comodo da non rendere impellente trovarsi un lavoro. E, se c’è bisogno di arrotondare, si può sempre svolgere qualche lavoretto in nero: la possibilità di venire beccati è minima. Soprattutto in realtà urbane dove l’anonimato è maggiore e il “controllo informale” (vicini, conoscenti,…) minore.
C’è poi tutto il capitolo dei beni all’estero: persone straniere che in Svizzera sono in assistenza ma che possiedono case nel paese d’origine. Qualche anno fa erano stati inviati nei Balcani degli investigatori privati per verificare queste situazioni. Hanno dovuto rinunciare al mandato a causa delle minacce di morte ricevute.
Inoltre, il numero dei casi d’assistenza aumenta, quello dei funzionari preposti alla loro trattazione no. Quindi controllare diventa più difficile.
Il caso zurighese
In queste settimane ha suscitato giustamente scandalo in Svizzera interna il caso di tale Jeton G, 31 anni, residente nel Canton Zurigo, kosovaro naturalizzato svizzero malgrado una lunga fedina penale. Costui si è sempre rifiutato di lavorare ritenendo assai più comodo farsi mantenere, senza pudore, dal contribuente. Lo svizzero di carta, “perfettamente integrato”, vive assieme alla famigliola in un appartamento al di sopra degli standard riconosciuti: per arrotondare le entrate si dedica ad attività illecite di vario genere, compreso lo spaccio di droghe leggere.
Il fatto che un soggetto del genere sia stato naturalizzato dimostra, tra l’altro, quanto sia necessario estendere a livello nazionale la modifica della costituzione cantonale bernese – cui il parlamento ha di recente concesso la garanzia federale – secondo cui lo straniero in assistenza o con la fedina penale sporca non può venire naturalizzato.
I cerottini non bastano
Questa vicenda zurighese è il campanello d’allarme di un sistema che non funziona più. L’hanno detto anche i responsabili federali: se l’assistenza viene considerata come un diritto acquisito, scoppia. E allora bisogna cominciare a selezionare i beneficiari, invece di pagare in modo indiscriminato. I primi da scremare sono gli immigrati nello stato sociale. Quindi si potrebbe cominciare a stabilire che non ha diritto all’assistenza chi non ha vissuto almeno (ad esempio) 15 anni in Svizzera.
O si prendono misure incisive, che permettano di selezionare chi è meritevole di beneficiare di soldi pubblici, oppure non ci saranno più fondi per aiutare i nostri concittadini che si trovano in difficoltà dopo aver per anni contribuito a finanziare lo stato sociale.
Due cose sono chiare: 1) i cerottini non bastano. 2) non si può continuare a trattare allo stesso modo chi per anni ha contribuito al finanziamento dello stato sociale e poi si è trovato nel bisogno e chi, invece, è sempre stato a carico e non si sogna di cambiare.
Lorenzo Quadri