Ci è voluto un po’ di tempo per iniziare concretamente, ma alla fine ci siamo. La raccolta delle firme per il referendum contro gli Accordi fiscali con Gran Bretagna, Germania ed Austria è partita da una settimana e procede ormai a pieno regime.
Questo referendum è sicuramente uno dei più importanti della politica svizzera degli ultimi anni. Perché la posta in gioco è altissima. Ne va non solo della nostra Piazza finanziaria – che è una delle risorse più importanti del Paese – ma anche della nostra sovranità nazionale. Si tratta inoltre di far giungere dal popolo, a questo Consiglio federale campione intergalattico di cedimento ad oltranza, un messaggio chiaro ed inequivocabile: così non si va avanti.
I rapporti con un’UE sull’orlo del baratro e con gli USA anch’essi in declino (con tanto di Stati falliti) non possono essere improntati ad una simile base. Con l’UE e con gli Stati Uniti siamo in guerra economica. Costoro hanno inoltre a più riprese dimostrato che le concessioni fatte da Berna, per quanto avvenute a tambur battente, non saranno mai sufficienti ad accontentarli: vorranno sempre di più.
Le conseguenze degli accordi fiscali sulla piazza finanziaria svizzera e ticinese le abbiamo indicate più volte, ma le ripeteremo ad oltranza affinché nessuno possa fingere di non sapere. Un terzo dei posti di lavoro sono in pericolo. Per il Ticino, vuol dire ritrovarsi con almeno 4000 disoccupati in più nel settore finanziario. E cosa faranno questi futuri disoccupati, che magari hanno lavorato in banca o in una fiduciaria per due decenni e adesso hanno cinquanta o più anni e famiglie a carico? Per dirla in burocratese: in che ambito professionale potranno essere riciclati questi profili? E soprattutto, chi li assumerà? Davanti a migliaia di persone si sta aprendo un baratro: sarà bene che ce ne rendiamo tutti conto. Non solo i lavoratori direttamente toccati, ma anche il resto della popolazione. Perché perdere 4000 impieghi sulla piazza finanziaria equivale ad una catastrofe sociale, oltre che economica.
E’ a dir poco sconvolgente sentire i soliti politicanti dei partiti storici parlare con leggerezza, in riferimento alla piazza finanziaria, di “attività che hanno fatto il loro tempo”, di “situazione che doveva finire”, e dell’”opportunità (sic!) di riorientarsi su nuove risorse”.
Punto primo: il fatto che si parli di “opportunità” in relazione alla cancellazione di 4000 posti di lavoro – e di posti di lavoro ben retribuiti, che permettono ai loro titolari di far girare l’economia – è roba, come diceva quel tale, da «metter mano alla pistola».
Punto secondo: chi li riqualifica e li fa lavorare i 4000 futuri disoccupati (tra cui molti ultracinquantenni) del settore finanziario ticinese? Forse i politicanti di cui sopra?
La nostra piazza finanziaria va difesa con ogni mezzo. E non per fare un favore alle grandi banche, le quali della Svizzera e del Ticino se ne infischiano (la Svizzera la usano solo per il marchio, mentre di tutto il resto chissenefrega) bensì per salvare migliaia di posti di lavoro. E non solo, ma per salvare anche decine di milioni di entrate fiscali e di indotti economici. E per evitare a migliaia di famiglie ticinesi di finire nel baratro della disoccupazione e dell’assistenza.
E che dire poi dell’obbligo che si vorrebbe imporre alla Svizzera, tramite gli accordi Rubik con Germania, Gran Bretagna ed Austria, di fare da esattore fiscale per conto di questi Stati? Cosa siamo noi, i lacché dell’UE?
Firmare massicciamente il referendum non vuol dire solo darsi da fare per salvare migliaia di posti di lavoro. Significa anche mandare un segnale chiaro al Consiglio federale: la politica del cedimento ad oltranza deve finire.
Lorenzo Quadri