Italia: la fine del governo “Giuseppi” ha trascinato nell’oblìo il trattato sui frontalieri
Ormai l’ha capito anche il Gigi di Viganello: senza una disdetta unilaterale ci porteremo dietro all’infinito la Convenzione del 1974, e continueremo a versare al Belpaese 100 milioni all’anno di ristorni!
Nel Belpaese, il governo “Giuseppi” appartiene da quasi tre mesi al passato. Per ora di miglioramenti non se ne scorgono. Mentre è chiaro anche al Gigi di Viganello che il famoso nuovo (?) accordo sulla fiscalità dei frontalieri ha subito l’ennesima battuta d’arresto, di durata indeterminata.
Il Ticino non ha tuttavia motivo per stracciarsi le vesti. In effetti l’intesa trionfalmente strombazzata nel periodo natalizio è ben lungi dal costituire il successo che qualcuno vorrebbe far credere. Prima di tutto per la tempistica. Il nuovo regime si applicherebbe solo ai nuovi frontalieri; e meglio quelli che avranno ottenuto un permesso G dopo il 2023. Quelli assunti in precedenza potranno andare avanti fino alla pensione con le regole attuali. Di conseguenza, par la grande maggioranza dei frontalieri non cambierà nulla. Uno degli effetti auspicati tramite cambiamento di sistema (un aggravio fiscale a carico dei frontalieri in funzione antidumping) viene così a cadere. Si ricorda che nel frattempo, malgrado in Ticino siano andati persi 10mila posti di lavoro a causa dello stramaledetto virus cinese, il numero dei permessi G continua ad aumentare: a fine 2020 aveva raggiunto la quota record di 70’115. E’ chiaramente in atto un fenomeno di sostituzione; la necessità di arginarlo è palese. Tanto più che la partitocrazia rifiuta ostinatamente ogni forma di preferenza indigena.
13 anni
Fino al 2033, inoltre, i ristorni verrebbero in ogni caso mantenuti. 13 anni di ristorni equivalgono a circa 1.3 miliardi di franchi in partenza dal Ticino a destinazione Italia. Una somma enorme. Non solo, ma in questi 13 anni l’erario cantonale incasserà addirittura meno di adesso: la quota delle imposte alla fonte da versare oltreconfine salirà dall’attuale 38,8% al 40%. E verrà abrogata la legge cantonale che fissa il moltiplicatore comunale per i frontalieri al 100%, col risultato di farlo scendere all’80%. Ulteriore perdita secca.
Il “nuovo” accordo è quindi lungi dall’essere soddisfacente per il nostro Cantone. Che risulta ancora una volta sacrificato. Si ricorda che la vetusta Convenzione del 1974 venne conclusa nell’interesse nazionale: ottenere il riconoscimento da parte italiana del segreto bancario elvetico. Questo presupposto non è più dato da anni. Per contro, il Belpaese continua a mantenere la Svizzera iscritta su liste nere illegali, non accorda agli operatori rossocrociati l’accesso alla piazza finanziaria italiana e non perde occasione per attaccarci. I buoni rapporti tra Svizzera ed Italia funzionano solo a senso unico, in funzione degli interessi italici; mai dei nostri.
Paga tutto il Ticino
La Convenzione del 1974 fu voluta nell’interesse nazionale, ma il prezzo l’ha sempre pagato solo il Ticino. L’andazzo si trascina da mezzo secolo. Quale riparazione ci viene ora prospettato: un contentino nel lontano futuro ed un peggioramento nell’immediato. E’ ovvio che non ci stiamo. Il nostro Cantone ha tutto il diritto di pretendere di mantenere sul proprio territorio la totalità delle attuali imposte alla fonte dei frontalieri. Il che significherebbe un’entrata aggiuntiva di quasi 100 milioni di Fr annui, di cui abbiamo estremamente bisogno; specie in considerazione dei conti cantonali in “profondo rosso” (165 milioni di deficit nel 2020). Il Lussemburgo, stato membro UE, non versa alcun ristorno a Francia e Germania per i frontalieri attivi sul proprio territorio. Noi non abbiamo alcun motivo di fare regali all’Italia. La devastante libera circolazione delle persone senza limiti voluta dalla partitocrazia è già un regalo più che sufficiente, e anch’essa deve FINIRE quanto prima!
La Convenzione del 1974 va pertanto disdetta unilateralmente.
La nuova tegola
Senza dimenticare un’altra questioncella. E’ sempre pendente (come lo sconcio accordo quadro istituzionale, come il delirante patto ONU sulla migrazione) il tema della rendita di disoccupazione dei frontalieri. Prima o poi, i balivi di Bruxelles stabiliranno che a doverla pagare è lo Stato in cui il permesso G lavorava. Ed in quel caso, poco ma sicuro, i loro camerieri a Berna caleranno le braghe ad altezza caviglia nel volgere di un battito di ciglia (fa pure rima). Risultato: centinaia di milioni di uscite in più all’anno per l’assicurazione contro la disoccupazione elvetica. Questo quando le casse dell’AD saranno già fortemente sollecitate (eufemismo) a causa della notoria crisi economica da stramaledetto virus cinese.
E noi continuiamo a versare soldi all’Italia?
Lorenzo Quadri