L’erario italico già festeggia. E torna alla ribalta l’immane ciofeca del telelavoro

La telenovela sembra davvero infinita: ecco che torna alla ribalta il nuovo (alla faccia del nuovo) accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Mercoledì, il Senato italico l’ha approvato all’unanimità. Se anche la Camera darà il proprio nullaosta, ciò che appare a questo punto assai verosimile, il nuovo accordo potrà entrare in vigore ad inizio gennaio 2024.

La parte del leone

E lo crediamo bene che a Palazzo Madama l’accordo sia stato plebiscitato: la parte del leone, come più volte rilevato su queste colonne, la farà il Belpaese, che potrà contare su centinaia di milioni di euri di entrate fiscali extra.

Certo, anche il Ticino ne trarrà qualche vantaggio; ma modesto, e solo in un lontano futuro. Dopo il 2034 potrà trattenere sul territorio l’80% dell’imposta alla fonte dei frontalieri invece dell’attuale 61.2%. Sempre che nel frattempo le carte in tavola non cambino ancora una volta.

Trattato mediocre

Tuttavia l’accordo è francamente mediocre. L’esultanza dei politicanti nostrani è fuori luogo.

Infatti:

  • Oggi il Ticino ristorna all’Italia il 38.8% delle imposte alla fonte che preleva ai frontalieri; con il nuovo accordo, e fino al 2034, tale quota salirà al 40%. Per le nostre casse pubbliche, una perdita.
  • Nello stesso periodo, il moltiplicatore comunale che viene applicato ai frontalieri scenderà dal 100% all’80%. Ciò significa: meno entrate per il Cantone. Che nel 2023 già si ritroverà con un buco di 230 milioni di franchetti. Sempre meglio: al ceto medio ticinese, singles in primis, la partitocrazia rifiuta gli sgravi fiscali, dicendo che “gh’è mia da danée”. Lo sgravio fiscale, almeno fino al 2034, se lo cuccheranno invece i permessi G (che già beneficiano della forza del franco).
  • Il nuovo regime fiscale sarà meno vantaggioso per i frontalieri: infatti li renderà imponibili in Italia. Tuttavia si applicherà solo a quelli assunti dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Non a quelli già presenti in Ticino. Quindi l’effetto “anti-dumping salariale”, legato alla maggiore imposizione fiscale e alla conseguente necessità di salari un po’ più elevati, sarà estremamente modesto. E’ inoltre probabile che nei prossimi mesi si assisterà alla corsa all’assunzione di frontalieri finché saranno in vigore le regole attuali.

Mercato finanziario

Dopo aver pagato per 50 anni i costi della Convenzione del 1974 (che era nell’interesse di tutto il paese) il nostro Cantone avrebbe certamente meritato di più. Si ricorda che il Lussemburgo, Stato membro UE, per i frontalieri attivi sul proprio territorio versa zero ristorni.

Nel frattempo, la Confederella è ancora iscritta su una black list italica, redatta quasi un quarto di secolo fa; e soprattutto gli operatori finanziari rossocrociati non possono accedere al mercato italiano se non aprendovi una succursale, e quindi spostando posti di lavoro dal Ticino al Belpaese. Tale questione figura sulla roadmap dal 2015. Ma la Penisola rimane inadempiente.

Uso improprio

I ristorni dei frontalieri ammontano ormai a quasi 100 milioni di franchi all’anno. I Comuni italiani beneficiari li dovrebbero usare per opere infrastrutturali di interesse condiviso italosvizzero. Dovrebbero, ma così non è. Ad esempio – è emerso ancora una volta mercoledì sera in un dibattito sull’emittente comasca EspansioneTV – oltreconfine i park&ride per i frontalieri sono vistosamente insufficienti.

Telelavoro? Anche NO!

Tanto per non farsi mancare niente, adesso si apre il nuovo filone: il telelavoro dei frontalieri. L’accordo amichevole con l’Italia (che lo permetteva senza svantaggi fiscali), siglato nel giugno del 2020 ai tempi della pandemia, è scaduto il 31 gennaio. Al di qua della ramina, la partitocrazia immigrazionista, i $indakati ed il padronato hanno fatto pressioni sul Belpaese affinché lo rinnovasse. Roma però non ha voluto. E per fortuna. I frontalieri in “smart working” non svolgono certo quelle professioni dove c’è carenza di ticinesi. Gli operai edili non possono lavorare da casa, e nemmeno gli infermieri. In home office ci possono stare quei frontalieri assunti per svolgere mansioni amministrative. Ovvero quelli che sostituiscono (soppiantano) i ticinesi.  Questi permessi G nemmeno dovrebbero esistere. Invece continuano ad aumentare. E adesso il Ticino dovrebbe diventare ancora più attrattivo proprio per queste figure professionali? Ma col fischio!

Noi non ci stiamo, e continueremo ad opporci a questa ulteriore cappellata a danno dei lavoratori indigeni. Alla faccia dei $indakati spalancatori di frontiere che invece la sostengono, a manina con gli odiati “padroni” e con l’ormai irrecuperabile partitocrazia.

Eravamo quindi soddisfatti del njet del governo italiano al prolungamento dell’accordo amichevole sul telelavoro dei frontalieri. Ma adesso si assiste all’ennesima giravolta, e da Roma già si parla dell’avvio di trattative in tempi brevi. Risultato: ticinesi di nuovo infinocchiati! E non veniteci a raccontare la fola che con i frontalieri in home office si riduce il traffico.

Perché?

Perché la politichetta, invece di scaldarsi a sostegno del telelavoro dei frontalieri, non pensa – ad esempio – ad aumentare le aliquote fiscali dei permessi G con salari alti? Costoro, manifestamente, concorrenziano i ticinesi. Strano che i tassaioli ro$$overdi non ci abbiamo mai pensato. Ah già, ma i $inistrati si accaniscono solo sugli svizzerotti “chiusi e gretti”.

Lorenzo Quadri