Per tanti anni sarà un’operazione in perdita. I politicanti bernesi ci cascano sempre

Si torna a parlare, ma guarda un po’, del “nuovo” accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Così nuovo che presto compirà otto anni.

Tale accordo comporta, è vero, un certo miglioramento rispetto alla situazione attuale. Ma solo in un lontano futuro. Il nostro Cantone poteva legittimamente attendersi di più.

Grande vincitrice

Il nuovo trattato prevede che i frontalieri vengano imposti nel Belpaese secondo le aliquote italiane (ben superiori alle nostre). La Svizzera otterrà l’80% dell’imposta alla fonte elvetica.

Oggi è la Svizzera a tassare alla fonte i frontalieri, trattenendo il 61.2% del gettito, mentre il 38.8% viene ristornato all’Italia.

L’ammontare dei ristorni ha superato i 91 milioni di franchetti.

Con le nuove regole, il Ticino incasserebbe qualcosa in più rispetto ad ora. Ma la grande vincitrice sarebbe in ogni caso l’Italia. La vicina Penisola accrescerebbe i propri introiti fiscali di centinaia di milioni di franchi ogni anno (si stima 600 milioni).

Le magagne

Tuttavia i motivi di “perplessità” (eufemismo) non mancano. Infatti:

  • Il Ticino dovrebbe poter trattenere la totalità dell’imposta alla fonte elvetica. Invece si deve “accontentare” dell’80%. Intanto il Lussemburgo (Stato membro UE), applicando in modo rigoroso i principi del diritto comunitario, non versa alcun ristorno per i frontalieri tedeschi e francesi attivi sul proprio territorio.
  • Il nuovo accordo si applicherebbe solo ai frontalieri arrivati dopo la sua entrata in vigore: quindi ai nuovi frontalieri. Quelli assunti in precedenza andrebbero avanti con le aliquote attuali fino al pensionamento.
  • Per il Ticino le maggiori entrate partirebbero solo nel 2034. Prima di quella data ci sarebbero delle perdite. I ristorni all’Italia salirebbero infatti dall’attuale 38.8% al 40%. Il moltiplicatore comunale per i frontalieri scenderebbe dal 100% all’80%. Geniale: gli unici a beneficiare di sgravi fiscali sarebbero pertanto i frontalieri, mentre il ceto medio ticinese… una cippa! Da notare che i permessi G già approfittano del franco forte.
  • Perfino il governicchio federale reputa una simile tempistica “insoddisfacente”. E’ tutto dire. Da qui al 2034 può cambiare il mondo. Chi ci garantisce che ora di là l’eventuale accordo non verrà buttato nuovamente all’aria?

Riassumendo: con il nuovo regime, il Ticino tra tanti anni potrà beneficiare di  un moderato guadagno. Sul corto e medio termine, invece, ci perderà.

La conseguenza

Come sappiamo il Belpaese, che fa melina dal lontano 2015, ha garantito la sottoscrizione del nuovo accordo fiscale entro fine 2022. Questa promessa non verrà però mantenuta. All’incontro di mercoledì tra il governicchio cantonale ed il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana è arrivata la conferma. E non poteva essere diversamente.

Sicché adesso sia Bellinzona che la Confederella partono dal presupposto di una ratifica nel corso del 2023. Chissà perché, c’è come il vago sospetto che si tratti di una pia illusione, l’ennesima. I vicini a sud sono degli esperti nel fare fessi gli svizzerotti. Del resto la fiscalità dei frontalieri in questo momento è – anche comprensibilmente – l’ultimo dei problemi della Vicina Repubblica.

Il Belpaese aveva promesso la firma del nuovo accordo per fine 2022. Tuttavia non manterrà la parola data. Non ci sta bene, ma proprio per niente, che le conseguenze le debba subire il Ticino! Per questo la Lega, per il tramite di chi scrive, nei mesi scorsi ha presentato una mozione al governicchio federale con la richiesta di disdire unilateralmente la Convenzione del 1974. La conseguenza sarebbe questa: fino a quando l’Italia non avrà sottoscritto il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri i ristorni non avranno una base legale, e quindi non saranno dovuti.  Se esso dovesse venire sottoscritto a fine 2023, vorrà dire che per l’anno prossimo i ristorni ammonteranno a zero. E quindi ci teniamo nelle casse cantonali oltre 91 milioni di franchi in più: non sono noccioline!

Pazienti sì, fessi no

Dovrebbe infatti ormai essere chiaro che, se si vuole che Roma faccia (finalmente) la propria parte, bisogna toccarla sul borsello. Visto che la firma del nuovo accordo fiscale veniva venduta come “imminente” già nel 2015, ovvero quasi otto anni fa, non si può certo accusare la Svizzera di non essersi dimostrata paziente. Ma anche la pazienza deve avere un limite. Pazienti è un conto, minchioni un altro. Come abbiamo detto a più riprese, ne abbiamo piene le scuffie di regalare ogni anno al Belpaese una cifra vicina ai 100 milioni di franchi, e questo su una base legale superata dagli eventi, che non ha più ragione di esistere! E intanto ai ticinesi si fa tirare la cinghia con la scusa delle casse vuote; addirittura il DFE targato PLR si prepara a mungere per l’ennesima volta il  ceto medio tramite taroccatura delle stime immobiliari! Per evitarlo, tutti a firmare l’iniziativa popolare  per la neutralizzazione della revisione delle stime!

Compiti fatti male

La presa di posizione del giovernicchio federale sulla mozione testé citata è arrivata nei giorni scorsi. Come scontato, è un njet. Il governicchio non ne vuole sapere di disdire la Convenzione del 1974. Non sia mai. Meglio farsi prendere per i fondelli a tempo indeterminato. Particolarmente ridicola l’argomentazione addotta: la disdetta “metterebbe in pericolo il nuovo accordo”.

Ma si possono scrivere corbellerie del genere? La disdetta è l’unico modo per ottenere la firma del nuovo accordo! Perché, una volta rottamata la Convenzione del 1974, l’Italia incasserebbe zero ristorni. Quindi ci metterebbe poco a tirarsi su le calzette.  Non firmando, infatti, continuerebbe a non ricevere alcunché.

E che la piantassero, i camerieri bernesi di Bruxelles, di blaterare che il nuovo accordo sarebbe una figata pazzesca per il Ticino. Perché non è così. Per il Ticino il nuovo accordo è una mezza fregatura. E’ la foglia di fico che permette a Berna (e a Roma) di proclamare di aver fatto i compiti. Peccato li abbia fatti male.

Lorenzo Quadri