Fiscalità dei frontalieri: senza blocco dei ristorni, lo stallo attuale durerà in eterno

 

I fatti sono testardi: la Lega dei Ticinesi, già nel lontano 1991…

L’accordo fiscale con l’Italia ha assunto tutti i contorni della farsa. La sua sottoscrizione era stata spacciata come “imminente” già quattro anni fa dall’allora Consigliera federale Widmer Schlumpf. Ma si trattava di un espediente per convincere il Consiglio di Stato a non bloccare (totalmente o parzialmente) il versamento dei ristorni dei frontalieri. Ai tempi la stessa direttrice del DFF, in un incontro con la deputazione ticinese alle Camere federali, evocò – quale mezzo di pressione sul Belpaese affinché firmasse – misure unilaterali nei confronti dell’Italia, e segnatamente la disdetta della Convenzione del 1974 che regola anche i ristorni dei frontalieri. Questa Convenzione è divenuta ormai obsoleta. In oltre quattro decenni, le condizioni quadro sono cambiate radicalmente. Si pensi solo all’introduzione della libera circolazione delle persone e allo smantellamento del segreto bancario per i clienti esteri.

Nuova offensiva

Di recente l’Agenzia delle entrate italiana si è inoltre prodotta nell’ennesima offensiva contro la piazza finanziaria elvetica a proposito delle operazioni “cross borders”. Contemporaneamente, il Belpaese nicchia sull’accesso degli operatori finanziari svizzeri al mercato italiano. Su questi temi si segnala l’inerzia del Consiglio federale: il Ticino resta, evidentemente, l’ultima ruota del carro. E’ manifesto che, se situazioni analoghe a quelle sopra descritte si verificassero sulla piazza finanziaria zurighese, la reazione di Berna sarebbe  assai diversa.

Dialogo in inglese?

Come ciliegina sulla torta, il dialogo italo-svizzero, in agenda il 21 marzo, quest’anno si è svolto in inglese; le scorse edizioni si sono invece tenute in italiano. Immaginare di ottenere qualcosa dalla vicina Penisola trattando in inglese significa essere completamente fuori dal mondo. E’ sempre più evidente l’inadeguatezza della burocrazia federale nel rapportarsi con i vicini a Sud. La mancanza di risultati reali lo dimostra. L’arrivo di un ministro degli esteri ticinese non ha cambiato nulla. L’incontro di gennaio tra Cassis e l’omologo Moavero ha prodotto solo le consuete e vuote dichiarazioni d’intenti.

Nessun indennizzo

Ciononostante, pur portando la responsabilità per il perdurare di un accordo vetusto, superato dagli eventi, che con ristorni esagerati penalizza pesantemente il Ticino, il Consiglio federale, a più riprese negli ultimi 8 anni, l’ultima volta a metà febbraio, si è sempre rifiutato di riconoscere un indennizzo al nostro Cantone. Una decisione confermata in marzo dal Consiglio nazionale, che ha respinto a maggioranza una mozione in tal senso.

Disdire la Convenzione?

Il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri comporterebbe, per il Ticino, un vantaggio di una dozzina di milioni all’anno rispetto alla situazione attuale. Per la controparte italiana, i maggiori incassi sarebbero molto più elevati; si stima nell’ordine di centinaia di milioni di euro. Ciononostante, per motivi politici, la vicina Repubblica non vuole il nuovo trattato. E scientemente rinuncia ai vantaggi fiscali che esso le porterebbe.

E’ inoltre  evidente, come emerge dalla sua ultima risposta sul tema risalente sempre al mese di febbraio, che il Consiglio federale – al contrario di quanto falsamente dichiarato dall’allora “ministra” Widmer Schlumpf – non prende nemmeno in considerazione la denuncia della Convenzione del 1974.

L’unico strumento

Allo stato attuale, i ristorni dei frontalieri sono lievitati ad 84 milioni all’anno. Il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri è manifestamente su un binario morto. I comportamenti scorretti da parte italiana proseguono, come dimostra l’ultima “offensiva” contro la piazza finanziaria ticinese. La gestione del dossier da parte della Confederazione è vistosamente deficitaria. Dunque, l’unico mezzo a disposizione del Canton Ticino per arginare un’ immotivata emorragia di milioni consiste nel bloccare il versamento dei ristorni dei frontalieri. Dopo anni di flop, occorre riconoscere che la via istituzionale e diplomatica ha fallito.

E al proposito vale la pena ricordare che già nel settembre del 1991 il gruppo parlamentare in Gran Consiglio della neonata Lega dei Ticinesi sollevava il tema del versamento dei ristorni, pur se in relazione alla mancata realizzazione di depuratori su suolo italiano. I fatti sono testardi, come si suol dire.

Lorenzo Quadri