Ci vuole un bel coraggio per mettersi a parlare di aggravi fiscali – ovvero mettere le mani in tasca alla gente e alle imprese – in periodo di crisi economica.
Il freno automatico all’indebitamento su cui ciclicamente insiste la direttrice del DFE altro non è che un automatismo per aumentare le imposte, infatti non interviene sulla spesa.
Si parte inoltre dal presupposto sbagliato. Perché il problema principale di questo Cantone non è di sicuro l’indebitamento. Il problema principale è il lavoro. Del resto se in un anno i nuovi posti di lavoro creati in Ticino sono 3000 mentre i frontalieri aumentano di 6000 unità, il bilancio è presto fatto. Ci sono 3000 residenti in meno che lavorano.
Non solo: se il settore finanziario, e tutto quel che ci ruota attorno, grazie a scellerate politiche federali promosse dalla ministra del 5% Widmer Schlumpf  e dalla $inistra perde pezzi su pezzi (in Svizzera le banche nel 2012 hanno cancellato 3000 impieghi, e questo non è che lo “stuzzichino”) ma in Ticino si continuano allegramente a sfornare schiere di impiegati di commercio come se “niente fudesse” ben sapendo che il settore, per dirla in modo “soft”, è destinato a pesanti ridimensionamenti, non c’è da stupirsi se la disoccupazione giovanile, che è già doppia in Ticino rispetto al resto della Svizzera, peggiorerà sempre più.
Questi sono i problemi del Ticino, non certo i conti del cantone, che in nessun caso vanno abbelliti mettendo le mani nelle tasche della gente e dell’economia.
Infatti a mancare in Ticino non sono le entrate. Il problema è la spesa pubblica, che è aumentata senza controllo: dai 2.9 miliardi del 2007 (non 1907) si è passati ai 3,5 miliardi del 2013. 600 milioni in più in sei anni.
Quindi non è certo sulle entrate che bisogna intervenire, ma semmai sulle uscite. Tanto più che la competitività fiscale del nostro Cantone è andata a ramengo a seguito di 11 anni di immobilismo. Andare a peggiorarla ulteriormente sarebbe un vero disastro. Ricordiamoci infatti che in Ticino il 2% dei contribuenti versa il 27% del gettito delle persone fisiche. Questi contribuenti danarosi sono in genere molto mobili. Nel caso qualcuno di questi pochi che pagano molto dovesse pensare di trasferirsi in altri lidi, lo studio di competenze tributarie della SUPSI (non il Mattino della domenica) parla di “conseguenze devastanti sulle entrate”.
Tuttavia un cespite di aumento delle entrate c’è, ed è la fiscalità dei frontalieri. I quali, dal  punto di vista delle imposte, sono privilegiati per rapporto agli svizzeri (tramite certe deduzioni che possono effettuare anche senza avere le spese corrispondenti) e ancora di più lo sono nei confronti dei loro connazionali.
Tassare i frontalieri sulla scorta delle aliquote italiane e trattenere in Svizzera il totale, senza dunque alcun ristorno, dell’aliquota elvetica, permetterebbe da un lato di far entrare nelle casse cantonali una sessantina di milioni in più all’anno (che proprio schifo non ci fanno) ed inoltre di renderci un po’ meno attrattivi per i frontalieri.
Ai frontalieri si devono poi applicare anche delle “ecotasse” nel senso di balzelli causali (che tanto piacciono ai politikamente korretti) a finanziamento dei costi che provocano alle nostre infrastrutture viaria 56mila lavoratori italiani che entrano in Ticino uno per macchina (altro che park&ride, che peraltro l’Italia non si sogna di costruire; altro che trenino Stabio-Arcisate, che cumula ritardi su ritardi). Anche nei confronti dei padroncini, che ci hanno invasi, occorre dimostrare creatività.
Nei confronti dei residenti, termine “aggravio fiscale” dovrebbe venire radiato dal vocabolario del Consiglio di Stato, e sostituito con quello “occupazione”. Frontalieri, padroncini, libera circolazione: questi sono i temi importanti del Cantone. Purtroppo è proprio su questi temi che il DFE (diretto da tempo immemore dal PLR) drammaticamente latita. Altro che moltiplicatori cantonali e freni all’indebitamento!
Lorenzo Quadri