No ai ministri con doppia o tripla cittadinanza? Certo, ma occorre andare oltre
Idem dicasi per i Consiglieri di Stato. E siamo ancora nel campo delle proposte minimaliste…
Il tema dei doppi (o tripli) passaporti in politica sta giustamente tenendo banco a seguito della “scoperta” della binazionalità del candidato al Consiglio federale Ignazio Cassis. Il quale, dopo essere stato naturalizzato nel 1976, ha ripreso il passaporto italiano nel 1992, quando la modifica della Legge sulla cittadinanza svizzera lo ha reso possibile. Inutile dire che noi siamo per il ritorno alla situazione antecedente.
Questione ovvia
Più o meno tutti in Ticino, a parte forse i kompagni (quelli secondo cui “la Svizzera non esiste”, ma le cadreghe istituzionali su cui incrostarsi, per contro, esistono eccome) adesso ritengono che un Consigliere federale debba avere un solo passaporto. E ci mancherebbe anche che così non fosse. Che un ministro abbia solo il passaporto dello Stato di cui è esponente governativo, è davvero il minimo. Dire che non è necessario, è più o meno come sostenere che una casa va bene anche se non ha il tetto. La questione è di una tale ovvietà che non si dovrebbe nemmeno porre. Ma limitare ai Consiglieri federali l’obbligo di possedere la sola cittadinanza elvetica è troppo poco.
In Australia
Ad esempio in Australia, che pure è paese di immigrazione, la Costituzione vieta anche ai deputati di essere binazionali, per una questione di lealtà. E viene detto così, papale papale. Senza tante pippe mentali politikamente korrette. Chi viene beccato in possesso di cittadinanze aggiuntive non può sbolognare alla chetichella il passaporto in esubero, magari sperando di non farsi “sgamare”, sull’esempio del buon Cassis. Deve mollare la cadrega senza tante storie.
Basta discriminare gli svizzeri di nascita
La nostra posizione sui doppi passaporti è chiara: andrebbero aboliti. Visto che naturalizzarsi non è un obbligo, chi sceglie di percorrere questa strada deve assumersene le conseguenze fino in fondo. Rinunciare alla cittadinanza originaria al momento della naturalizzazione non significa affatto rinnegare le proprie radici. Significa compiere una scelta coerente. L’argomento sentimentale è un pretesto di comodo: le radici, i legami famigliari, non sono richiusi in un documento d’identità. Chi cumula passaporti lo fa perché porta dei vantaggi oggettivi che tutti conosciamo. Non è un reato: la legge lo consente. Ciò tuttavia equivale a mettere i naturalizzati in una situazione di privilegio rispetto agli svizzeri di nascita, che di passaporto ne hanno uno solo. Altrimenti detto, allo stato attuale chi nasce svizzero si trova, nel suo paese, discriminato rispetto a chi ha acquisito il passaporto rosso in un secondo tempo; magari a seguito di una delle tante (troppe) naturalizzazioni facili di cui beneficiano anche persone non integrate. Ci si permetta dunque di dissentire da questo illogico stato di fatto. E poiché le accuse di populismo e razzismo ci fanno un baffo, aggiungiamo pure che, se qualcuno non è disposto a lasciare il proprio passaporto d’origine al momento della naturalizzazione, magari vuol dire che il suo legame con la Svizzera non è poi così forte da giustificare la concessione della cittadinanza. Il sospetto della naturalizzazione di comodo, insomma, aleggia nell’aria. E non ci vuole una fantasia particolarmente perversa per immaginare che, venisse abrogata la possibilità di essere bi- (o tri-) nazionali – con i conseguenti “benefits”– il numero delle richieste di naturalizzazione calerebbe in modo sensibile.
Situazione improponibile
Detto questo, se è umanamente comprensibile che il cittadino “comune”, dal momento che la legge glielo consente, voglia tenere più passaporti poiché ciò comporta dei vantaggi concreti, la stessa comprensione non può essere riservata a chi – sempre per scelta – è attivo politicamente.
E’ improponibile ricoprire cariche istituzionali di uno Stato avendo in tasca il passaporto di un altro, da estrarre quando fa comodo. La situazione è tanto più insostenibile quanto più elevata è la carica. Coerenza vorrebbe che chi ha più di un passaporto vi rinunciasse al più tardi al momento in cui si candida per un qualsivoglia ruolo politico. Esigere che un Consigliere federale abbia una sola nazionalità è chiaramente troppo poco. La stessa cosa va pretesa come minimo – e siamo ancora minimalisti – anche dai deputati federali e dai membri dei governi cantonali. Come già detto, in occasione della prossima sessione delle Camere federali la Lega presenterà atti parlamentari in questo senso. Non verranno accolti, è evidente. Ma chi si oppone dovrà metter fuori la faccia e manifestarsi.
Del resto, l’obiettivo dei paladini dei politicanti con passaporto plurimo è evidente: preparare il terreno per il prossimo passo, ossia aprire la politica anche agli stranieri. Si tratta della consueta tattica del salame: una fetta alla volta.
La statistica
Ulteriore elemento: dalle ultime cifre (2015) dell’Ufficio federale di statistica risulta che il Ticino, con il 27.3% di abitanti con doppio passaporto, è al secondo posto a livello nazionale, dopo Ginevra (che si ritrova addirittura con il 44,5%!). Per contro, la media svizzera è del 16.6%. In Appenzello Interno solo il 3.8% dei cittadini ha il doppio passaporto. Ma pure un Cantone grande come Berna si ferma al 9.4%. E anche in vari altri Cantoni di confine, per quel che possa contare, ci sono percentuali ben inferiori a quelle ticinesi.
Di che riflettere. Se in Ticino così tanti neo-svizzeri non rinunciano al passaporto della nazione d’origine, magari qualche domandina sulle motivazioni della loro naturalizzazione e sul loro sentimento di appartenenza al nostro Paese non è scandaloso porsela.
Lorenzo Quadri