Ma come, la preferenza indigena non doveva essere un delirio populista e razzista?
Senza farsi tante pippe mentali su populismi e razzismi, e senza aspettare che l’iter della Brexit giunga a compimento, la Gran Bretagna vuole applicare la preferenza indigena e limitare l’immigrazione. Di fatto dunque un bel 9 febbraio o, se si preferisce, un bel “Prima i nostri” in salsa british.
La ministra dell’interno inglese Amber Rudd ha detto che bisogna intervenire nei confronti delle aziende che assumono troppi lavoratori esteri e che bisogna limitare i visti agli stranieri, studenti compresi. Inoltre la manodopera d’importazione deve servire a riempire solo i vuoti occupazionali e non posti che “potrebbero essere coperti da britannici” (traduzione: no alla sostituzione). Solo pochi giorni prima la premier Theresa May aveva annunciato la rottamazione del diritto UE: il parlamento di Westminster sceglierà liberamente quali leggi europee tenere e quali buttare.
Anche il Regno Unito dunque vuole introdurre “Prima i nostri”. A dimostrazione che tale principio non è un delirio populista e razzista, ma un’esigenza per qualunque politico a cui importi qualcosa dei suoi concittadini. Delirante è semmai il mantra del “dobbiamo aprirci” a spese dei residenti.
La via tracciata
Oltremanica dunque si prosegue per la via tracciata il 23 giugno. E si procede a spron battuto. Del resto nessuna delle previsioni catastrofiste formulate prima dell’appuntamento con le urne si è realizzata: a dimostrazione che erano tutte fregnacce. Proprio come le storielle analoghe che ci vengono insistentemente propinate dalla partitocrazia, dai “poteri forti” e dalla stampa di regime.
Il popolo ha votato Brexit e Brexit sarà. Quanto alle opzioni di “rifare la votazione” (ovviamente nella speranza di ottenere un risultato diverso), la neo-premier britannica le ha sempre considerate per quello che sono, ovvero foffa.
Contrasto stridente
Il contrasto tra il governo inglese ed i camerieri dell’UE che ci ritroviamo a Berna si fa sempre più stridente. La nostra piccola “Brexit” l’abbiamo avuta il 9 febbraio. Ma l’atteggiamento di un Consiglio federale succube dei padroni di Bruxelles si pone proprio agli antipodi di quello inglese. I sette scienziati hanno fatto di tutto e di più – lo stanno tuttora facendo – per sabotare il “maledetto voto”. Alcuni di loro, a partire dall’ex ministra del 4% Widmer Schlumpf, hanno detto che bisogna rivotare. E mentre la May vuole giustamente sbarazzarsi delle leggi UE, il ministro degli esteri Didier Burkhaltèèèèr, PLR, brama di imporcele tramite osceni “accordi quadro” e aberranti “riprese dinamiche” (cioè automatiche) del diritto comunitario.
Nella Penisola…
Interessante anche l’atteggiamento della stampa del Belpaese a proposito del “Prima i nostri” britannico. Sul voto ticinese, pennivendoli e politicanti d’oltreramina si sono affrettati a strillare al razzismo. Dando prova di notevole stoltezza, hanno spalato tonnellate palta sul Cantone che dà lavoro a 62’500 frontalieri e a decine di migliaia di padroncini. Tutta gente che, senza il Ticino, non porterebbe a casa la pagnotta. Nella Penisola farebbero bene a ricordarsene. E farebbero bene anche a ricordarsi che i ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri li versiamo noi.
Sull’introduzione della preferenza indigena in Gran Bretagna, invece, i toni sono ben diversi, e assai più moderati. Chiaro: i ticinesotti devono essere costretti con ricatti, minacce ed insulti a calare la braghe su Prima i nostri perché il mercato del lavoro ticinese deve rimanere spalancato. Deve continuare ad essere la più volte citata (dalla stampa italiana!) valvola di sfogo per la crisi occupazionale lombarda. Che i ticinesi non si azzardino a difendersi dall’invasione da sud! Se invece la Gran Bretagna limita la libera circolazione delle persone, non è poi così grave, in fondo sta solo difendendo i suoi abitanti. Altro che “libera circolazione principio irrinunciabile”: l’unico principio irrinunciabile è la difesa dei propri interessi di bottega, vero amici italiani?
Lorenzo Quadri