Nei giorni scorsi eloquente terza pagina del Quotidien Jurassien

“Frontalieri che lavorano al posto dei residenti, stagisti sottopagati, responsabili frontalieri che  assumono frontalieri, dumping salariale”.

Nei giorni scorsi queste affermazioni sono apparse a pagina 3 di un giornale. Il giornale non è però il Mattino della domenica.  Si tratta invece del Quotidien Jurassien. Che titola: “Frontalieri che rimpiazzano i giurassiani”. Li rimpiazzano, ovviamente, nelle assunzioni.

Quindi anche in altri Cantoni il problema comincia a farsi sentire, quel problema che in Ticino sta assumendo proporzioni drammatiche, poiché il numero dei frontalieri è raddoppiato in dieci anni. E non certo perché ci sia una necessità dell’economia di reperire all’estero manodopera che non si trova in Ticino. Interessante osservare è che, se il numero dei frontalieri attivi nel settore secondario è cresciuto da 15mila a 25mila unità, ad essere esploso è il numero dei frontalieri nel terziario, passato da 10mila a quasi 34mila. Quindi il settore maggiormente occupato dai frontalieri è proprio il settore terziario; quello dei servizi. Ovvero quel settore in cui non si fa di certo fatica a trovare dei ticinesi.

Ed è perfettamente inutile che i partiti storici continuino a menarla con la storiella dei frontalieri che sarebbero necessari all’economia e soprattutto con la fandonia che, senza la libera circolazione delle persone, l’economia andrebbe in crisi poiché sarebbe impossibilitata a procurarsi i frontalieri di cui ha bisogno.

 Che un certo numero di frontalieri sia necessario all’economia ticinese non l’ha negato nessuno. Questo numero non è però sicuramente di 60mila persone. E per procurarsi i frontalieri di cui c’è bisogno causa mancanza di personale indigeno, non serve la libera circolazione delle persone. Ed infatti i frontalieri c’erano anche prima. La libera circolazione delle persone ha però spalancato le porte a quel deleterio fenomeno di sostituzione indiscriminata di residenti con frontalieri. Quel fenomeno che la Lega aveva previsto ed annunciato. Ma naturalmente erano tutte balle populiste e razziste. Quel fenomeno che non si risolve di sicuro con i salari minimi, che costituiscono semplicemente un regalo per i frontalieri già assunti. Quelli futuri, invece, in regime di salario minimo verrebbero assunti al 50% sulla carta, e poi fatti lavorare al 100%. O tramite giochetti analoghi.

Aumento dell’800%

Da notare che  – pur restando in cifre assolute in numeri bassi, nell’ordine di grandezza di alcune centinaia – i settori in cui il numero dei frontalieri è aumentato maggiormente sono quelli dell’istruzione e delle attività immobiliari, dove in 15 anni la crescita è stata quasi dell’800%. La questione dei docenti frontalieri è particolarmente delicata perché in ballo c’è la formazione dei nostri scolari, formazione che deve essere svolta da chi conosce le nostre radici e il nostro territorio. Non si può al proposito dimenticare la sciagurata sentenza del Tribunale amministrativo che ha annullato la conoscenza delle lingue nazionali quale requisito da bando di concorso per l’insegnamento nelle scuole cantonali in quanto “discriminatoria”.

Cose allucinanti: per una volta che il Cantone aveva preso una misura a tutela del mercato del lavoro ticinese, ecco che arriva il tribunale di turno a cancellarla dichiarandola discriminatoria. Come se “discriminatorio” fosse una parolaccia. Quando invece discriminare, nella situazione in cui ci troviamo, è diventata una necessità.

Come la mettiamo?

Il fatto che anche nel Giura ci si sta accorgendo dell’esistenza di un problema legato al frontalierato è decisamente degno di nota. E confinare con la Francia non è di sicuro come confinare con la Lombardia. Quindi non sono più solo i ticinesi a denunciare l’esistenza  di un problema di dumping salariale e di sostituzione di residenti con frontalieri. La libera circolazione delle persone mostra le corde, così come pure le statistiche costruite apposta per far credere che vada tutto bene ed avere così  un pretesto per continuare a genuflettersi davanti al’UE. E adesso come la mettiamo?
Lorenzo Quadri