La scorsa domenica, quella di Autonassa, il DFE non ha autorizzato l’apertura straordinaria dei negozi chiesta dalla società commercianti di Lugano. E’ stata una delle ultime brillanti decisioni della ministra del margine di manovra nullo Laura Sadis (esponente del PLR, il sedicente partito dell’economia).
Il commerciante luganese Bruno Balmelli ha però deciso di aprire comunque. Il gesto di “disubbidienza civile” potrebbe costargli 5000 Fr di multa.
Decisione deludente
E’ senz’altro deludente che il Cantone non abbia rilasciato l’autorizzazione per aperture straordinarie in occasione di Autonassa, che avrebbe permesso ai commerci del centro città di recuperare cifra d’affari.
E’ infatti evidente che i negozi del centro di Lugano soffrono per vari motivi, che vanno dalla viabilità al franco forte passando per il minor potere d’acquisto della clientela. Non sarebbe certo stato fuori luogo se il Cantone avesse concesso l’apertura straordinaria richiesta dai promotori di Autonassa, come misura certo circoscritta, ma concreta, per sostenere l’economia locale. Tanto più che il Foxtown ottiene, buon per lui, la possibilità di rimanere aperto ogni domenica per motivi di turismo dello shopping.
Non si vede quindi perché anche destinazioni turistiche, come è il caso di Lugano, non dovrebbero poter beneficiare di analoghi aggiornamenti normativi.
Un tabù?
Ma da decenni ormai qualsiasi adeguamento della legge sugli orari d’apertura dei negozi in questo ridente Cantone è tabù. Dopo lunghissimo tira e molla, il Gran Consiglio ha prodotto una revisione di legge che prevede l’estensione degli orari di apertura di mezz’ora fino alle 19, e al sabato fino alle 18.30. La montagna ha partorito il topolino. E contro questo topolino è stato pure lanciato il referendum, riuscito una decina di giorni fa.
Non parliamo poi dei negozi aperti di domenica. Eppure introdurre un certo numero di aperture domenicali durante la stagione turistica costituirebbe un provvedimento semplice per contrastare i danni provocati dal franco forte ai commerci. I turisti avrebbero l’opportunità di spendere. E magari qualche ticinese in meno andrebbe a fare la spesa oltreconfine.
Intendiamoci: è ben probabile che la maggioranza dei frontalieri della spesa non sia mossa da questioni di orari bensì di costi. C’è però anche qualcuno che sceglie la Penisola perché i negozi sono aperti quando da noi sono chiusi. E almeno questo bisognerebbe cercare di evitarlo. Naturalmente al “compro in Ticino” del consumatore deve fare da “pendant” l’ “assumo in Ticino” del commerciante, sennò il patto non regge.
Gli altri settori
Il lavoro serale e domenicale è realtà in innumerevoli settori professionali. Ospedali, case anziani, trasporti pubblici, polizia, servizi urbani, ristorazione, albergheria, mass media, eccetera: la lista è molto lunga. Ma sulle aperture dei negozi rimane il veto, alimentato dal mantra dello sfruttamento. Eppure a molti, e soprattutto a molte, farebbe assai comodo arrotondare il budget familiare o personale lavorando qualche ora di domenica. Ma questo si finge di non vederlo.
La votazione sulla nuova legge sui negozi sarà la cartina di tornasole. Si vedrà se il Ticino è destinato a rimanere congelato negli anni Cinquanta o se sono pensabili aggiornamenti.
Sfasciano risorse
A seguito dello sfascio della piazza finanziaria, provocato da deleterie politiche federali, per il Ticino – ed in particolare per Lugano – la risorsa turismo cresce d’importanza. Affinché si sviluppi, sono però necessarie adeguate condizioni quadro. Tra queste, anche delle leggi in materia di apertura dei negozi che siano in linea con i tempi e con le aspettative dei turisti. Ad opporsi a muso duro ad orari d’apertura più ampi è la stessa parte politica, la $inistra, che ha promosso e sostenuto la svendita della piazza finanziaria. Eccoli qua i kompagni, sempre fedeli a loro stessi: distruggono le risorse economiche esistenti e sabotano lo sviluppo di quelle chiamate a (parzialmente) subentrare. Ma del resto, quando si hanno i piedi al caldo e il posto di lavoro garantito a vita nel settore pubblico, parapubblico o sindacale, e senza stancarsi troppo, certe questioni diventano marginali…
Lorenzo Quadri