Partiamo dall’inizio. A livello federale, per concretizzare il voto del 9 febbraio, non si sta facendo un tubo. E’ stato buttato via più di un anno. Non è in corso alcun “negoziato”, perché non ci sono mandati negoziali. Né a Berna né a Bruxelles. Semmai è in corso qualche “pour parler” che lascia il tempo che trova.
Non si è fatto un tubo colpevolmente. L’obiettivo è (era) infatti quello di non portare a casa nulla. Per far credere agli svizzerotti che “sa po’ fa nagott” ed arrivare in questo modo ad una nuova votazione sui fallimentari accordi bilaterali. La ministra del 5% Widmer Schlumpf, vera sciagura per il paese, ha infatti dichiarato che “bisogna rifare la votazione” – ancora una volta dunque la Consigliera federale non eletta si è accodata alla posizione del P$. Ultimamente, però, di nuove votazioni si sente parlare molto meno. Ohibò, e come mai? Facile: il partito contro il “maledetto voto” si è accorto di giocare col fuoco. Da un’eventuale nuova votazione potrebbe infatti benissimo uscire non già l’auspicata sconfessione del 9 febbraio bensì la fine degli accordi bilaterali.
Il bidone federale
Il Consiglio federale ha presentato la sua proposta d’attuazione dell’articolo costituzionale contro l’immigrazione di massa. Si tratta però di una presa per i fondelli. Infatti secondo il Consiglio federale le limitazioni migratorie andrebbero applicate solo agli Stati Terzi, perché per l’UE “vale la devastante libera circolazione delle persone”. E’ evidente che una simile proposta è uno scandalo ed equivale ad una non attuazione dell’iniziativa votata dal popolo.
Il Consiglio di Stato ticinese ha allora deciso di fare lui una proposta, incentrata sulle clausole di salvaguardia. Ovvero su misure che entrano in vigore in modo mirato – circoscritte per regione e magari per settore professionale – quando determinati indicatori vengono superati. Le misure in questione possono essere il contingentamento e la preferenza indigena.
Attenzione alle soglie
Priorità del Ticino è quella di impedire l’assunzione di frontalieri quando ci sono dei ticinesi disponibili. Chi vuole assumere un nuovo frontaliere deve prima dimostrare di non aver trovato dei residenti. Si tratta in sostanza di attuare la preferenza indigena. Le clausole di salvaguardia sono un mezzo efficace per raggiungere questo obiettivo? Potrebbero esserlo.
Di certo hanno un vantaggio: che si tratta di istituti noti all’UE. La Spagna ad esempio ne richiese l’applicazione e l’ottenne quando si trovò confrontata con un’esplosione di immigrati rumeni. Lo stesso Consiglio federale ne ha già applicate per l’immigrazione dai paesi dell’Europa dell’Est. Una clausola di salvaguardia è dunque più facile da far digerire a Bruxelles poiché l’UE stessa ne conosce. Ma è anche efficace? Tutto dipende da quali criteri e valori soglia si scelgono. Attenzione in particolare ad appoggiarsi ai dati ufficiali della disoccupazione per far scattare il contingentamento poiché, come sappiamo tutti, si tratta di cifre taroccate, che non rendono l’idea della situazione reale. Molti senza lavoro infatti non figurano più nelle statistiche della disoccupazione. Inoltre, è evidente che una soglia troppo alta non serve a nulla.
La clausola di salvaguardia può dunque essere una soluzione valida o un bidone a seconda di come e di quando scatta la sua applicazione. I Ticinesi non tollereranno errori o autogoal. Quindi attenzione a non scottarsi.
Lorenzo Quadri