Altro che perseguitati, qui c’è gente che ci fa su davanti e di dietro. E la Simonetta…

Ma guarda un po’: si torna a parlare dei finti rifugiati che trascorrono le “vacanze” nel paese d’origine, facendo fessi gli svizzerotti. Gli svizzerotti vengono infinocchiati perché, se questi asilanti hanno ottenuto di rimanere nella Confederella, è perché hanno fatto credere di essere minacciati al loro paese. Invece non è affatto così. Altrimenti non ci tornerebbero volontariamente per le ferie, di nascosto dalle autorità rossocrociate. Naturalmente ci vanno con i soldi delle prestazioni sociali pagate dal solito sfigato contribuente. Con questo gruzzolo, nel continente nero si vive alla grande; e magari si mantiene pure tutto il parentado.

Quanti  sono i finti rifugiati  che con bella regolarità si godono le vacanze in patria a spese nostre? Impossibile saperlo. Infatti, tra questi vacanzieri, solo chi è così merlo da partire in aereo dalla Svizzera (da Zurigo) viene beccato. Ma basta prendere il treno e partire da un aeroporto di un paese limitrofo, e le possibilità che nessuno lo venga a sapere schizzano verso l’alto.

Lo statuto non viene ritirato

Ci pare evidente che chi torna al paese d’origine per le vacanze, e oltretutto ci entra con il benestare dell’autorità locale, non è affatto un perseguitato. Quindi, non può nemmeno essere un rifugiato. Tale statuto gli va pertanto immediatamente ritirato. Anche alla dabbenaggine (eufemismo) degli svizzerotti, costretti a mantenere “cani e porci” e per di più ancora infamati come razzisti, ci deve essere un limite.

Invece il ritiro del permesso di asilante non avviene. Comunque non sempre. Per questo, ma guarda un po’, possiamo ringraziare la ministra del “devono entrare tutti”, kompagna Simonetta Sommaruga. La quale, naturalmente, ha pensato bene di  inventarsi delle eccezioni nel caso qualcuno avesse intrapreso il viaggio nel paese d’origine perché “moralmente costretto”.

I tribunali

In un recente articolo, la Basler Zeitung ha raccontato, portando alcuni esempi concreti, di come finti asilanti furbetti sono riusciti a far valere l’eccezione di cui sopra, servendosi di una marea di panzane. Qualcuno, grazie alle notorie sentenze buoniste-coglioniste, e naturalmente con l’avvocato d’ufficio pagato dal solito sfigato contribuente, ha pure ottenuto ragione in tribunale. E, dunque, ha potuto restare in Svizzera, malgrado avesse torto marcio, ridendosela a bocca larga.

“Obbligo morale”

Le frottole raccontate sono delle più sfacciate. Evidentemente questi migranti economici pensano che gli svizzerotti siano tutti scemi. E c’è da temere che non abbiano poi così torto a pensarlo.

Ad esempio, una donna irachena, finta rifugiata ma ammessa e mantenuta lo stesso dai tamberla elvetici, colta con le mani nella marmellata ha dichiarato di essere rientrata nel suo paese perché il padre era morto. Peccato che l’uomo in questione fosse vivo e vegeto. Al ché la figlia, in Svizzera da oltre 15 anni, ha dichiarato di non aver capito bene la domanda a causa della sua scarsa conoscenza della lingua (questo evidentemente significa che in 15 anni la signora non ha compiuto alcuno sforzo per integrarsi, né qualcuno le ha chiesto di farne: si è fatta comodamente mantenere dell’assistenza; tanto gli svizzerotti fessi pagano in ogni caso, dunque perché stancarsi?). Sicché, l’irachena ha cambiato versione: il padre non era morto, ma gravemente malato. Asserzione a cui è stato allegato certificato medico farlocco e fumogeno redatto in Iraq. In poco tempo è stato accertato che l’anziano signore non era né morto né moribondo. Però i buonisti-coglionisti, anzi coglionisti e basta, hanno deciso che la donna può comunque restare in Svizzera a nostre spese. Infatti, data l’età avanzata del padre, poteva a buon diritto (?) ritenere che fosse in punto di morte e quindi non si può dire che sia tornata “volontariamente” nel paese d’origine, ma l’ha fatto a seguito di un obbligo morale. Si può essere più bolliti di così?

Va e vieni

Oppure ancora c’è il caso dell’asilante eritreo che ha dichiarato di non avere il passaporto, e, grazie a questa ed altre fanfaluche, ha ottenuto il pass elvetico di rifugiato, con il quale può viaggiare ovunque tranne che (per ovvi motivi) nel suo paese d’origine. E così il povero perseguitato in questione si è recato a più riprese in nazioni confinanti alla sua, per poi sconfinare “in scioltezza” (ovviamente senza esporsi a nessun rischio di tortura, poiché tale rischio esiste solo nella testa dei boccaloni rossocrociati).

Un altro eritreo ha ottenuto lo status di rifugiato e ha fatto arrivare moglie e quattro figli tramite ricongiungimento familiare (malgrado costoro di per sé non avessero  diritto all’asilo). Da un controllo di polizia è  poi risultato che tutti erano in possesso di documenti eritrei con visti che ne attestavano il “va e vieni” dal paese in cui avrebbero dovuto essere perseguitati.

Noterella a margine: il numero degli eritrei in assistenza in 8 anni è aumentato del 2282%.

Intanto la Norvegia…

Da notare che, riferisce sempre la Basler Zeitung, la Norvegia, visto il malandazzo, ha fatto in modo di ritirare l’autorizzazione ai finti rifugiati eritrei di andare nelle nazioni vicine alla loro, dal momento che poi ne approfittano per “visitare” il paese d’origine. Da noi invece la kompagna Sommaruga non ne vuole sapere ed anzi, secondo la BaZ, avrebbe addirittura stralciato una disposizione analoga dalle norme elvetiche.

Visto insomma che gli abusi da parte di finti rifugiati che trascorrono le vacanze nel paese d’origine “perché lì è più bello” si moltiplicano, e che capita pure che questi abusi vengano benedetti dalle istanze giudiziarie, la soluzione è una sola: chiudere le frontiere e finalmente piantarla di farsi prendere per il lato B.

Ricordiamoci che il Giappone nei primi sei mesi del 2017 ha accolto tre (3) domande d’asilo su oltre 8000. Senza che nessun organismo internazionale del flauto barocco  si mettesse a starnazzare al “razzismo”. Quindi, selezionare (assai più di adesso) si può. E si deve.

Lorenzo Quadri