Lo studio smonta gli accordi con l’UE: tanti problemi e vantaggi irrisori

Ma guarda un po’, adesso anche l’istituzionalissimo Corriere del Ticino comincia ad interrogarsi sul reale valore dei bilaterali, ed in particolare della devastante libera circolazione delle persone. Ma come, non dovevano essere tutte balle populiste e razziste?

In effetti, da anni – almeno da quando l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” è entrata di prepotenza nel dibattito politico – l’ammucchiata partitocratica, i cosiddetti “poteri forti”, la stampa di regime e le élite spalancatrici di frontiere ripetono come un disco rotto il mantra dei “Bilaterali indispensabili per la Svizzera”. Ciò con il manifesto obiettivo di fare il lavaggio del cervello agli svizzerotti (chiusi e razzisti).

Loro “valgono”?
Il problemino, come da tempo evidenziano anche professori di economia (niente a che vedere con gli intellettualini di partito da tre e una cicca, voluttuosamente interpellati ogni tre per due dalla televisione di servizio a pontificare a sostegno delle frontiere spalancate) risiede nel fatto che nessuno ha mai saputo dire se i Bilaterali valgono effettivamente qualcosa per gli Svizzeri. E, se sì, quanto.

Incidenza sopravvalutata
Che l’incidenza reale di questi accordi fosse sopravvalutata “alla grande” lo si sospettava da tempo. Adesso arriva a confermarlo uno studio dell’economista Florian Schwab, richiesto da Tito Tettamanti. In base a questa indagine, il valore medio di Bilaterali potrebbe esse di 500 Fr all’anno per abitante. E da questa misera cifra si devono però ancora detrarre diversi svantaggi.

Da accordi che da anni vengono venduti come “indispensabili per la Svizzera” ci si attenderebbe ben altri numeri.

Alcune osservazioni
Un paio di cose è interessante notarle.
La prima è che i calcoli fatti non contemplano i costi infrastrutturali generati dalla devastante libera circolazione delle persone.
Il saldo migratorio promesso del Consiglio federale in regine di bilaterali avrebbe dovuto essere di 12’500 persone all’anno. Invece è di 80mila. Ci è dunque stata raccontata una balla clamorosa, l’ennesima. Già solo per questo motivo, non si vede perché bisognerebbe far fede alla fetecchiata dei “bilaterali indispensabili”. 80mila stranieri all’anno in più consumano le infrastrutture svizzere; l’aumento della popolazione ne rende necessarie di nuove. Non solo. Nel nostro sempre meno ridente Cantone, 62’500 frontalieri e di decine di migliaia di padroncini e distaccati entrano ogni giorno in Ticino uno per macchina, intasando la rete viaria. Le colonne permanenti, generate dalle targhe azzurre, hanno dei costi per l’economia, eccome che ce li hanno; però stranamente a questo proposito si tace. Ed è evidente che le nostre infrastrutture risultano usurate da questo utilizzo extra, e nümm a pagum. Aggiungiamo anche i rifiuti prodotti dall’assalto quotidiano da sud, raccolti e smaltiti a spese dei ticinesotti. Tirando le somme, quindi, altro che “vantaggi dei Bilaterali”!

La seconda cosetta è che – citiamo sempre dal Corriere – perfino gli studi taroccati pro-saccoccia-governo, quelli della SECO e di Economiesuisse, sono costretti ad ammettere che “non è possibile dimostrare un rapporto di causalità tra l’aumento del PIL ed i Bilaterali”. Anni di frottole pro-frontiere spalancate polverizzati in una sola frase. Economiesuisse licenzierà il correttore di bozze che non ha cancellato dal testo definitivo dello studio l’imbarazzante constatazione?

La crosta
La conclusione è dunque una sola. I Bilaterali non sono indispensabili all’economia. Sono semmai indispensabili alla politica del servilismo nei confronti dell’UE. Quella politica fallimentare che Berna ci propina da anni. E che farebbe un ulteriore “salto di qualità” con il demenziale progetto di “ripresa dinamica” (ossia automatica) del diritto UE in Svizzera. Un progetto perseguito dal ministro degli esteri PLR Didier “dobbiamo aprirci all’UE” Burkhaltèèèèr.
Nel suo servizio dedicato ai Bilaterali, il Corriere, rielaborando un paragone fatto dalla direttrice di Economiesuisse (sabotatrice del 9 febbraio) Monika Rühl, titola: “una Monna Lisa non così preziosa”. Dovere istituzionale. Altro che Monna Lisa “poco preziosa”: siamo davanti ad una crosta. Per anni, però, ce l’hanno spacciata per capolavoro. E continuano a farlo.
Lorenzo Quadri