I kompagni tentano di smantellare i sistemi di difesa con pretesti politikamente korretti

La sessione del Consiglio nazionale appena conclusa si è distinta per la scarsità dei temi. Tra quelli che hanno suscitato lunghi blabla vale la pena segnalare l’iniziativa popolare “Per il divieto di finanziamento del materiale bellico”. Questa iniziativa è riuscita nel 2018 con 104mila firme (quindi non con un grandissimo margine) e proviene da cerchie vicine al gruppo Per una Svizzera senza esercito. Già questo indica da che parte pende la proposta. E’ il concetto stesso dell’esistenza degli eserciti, a scopi di difesa e di protezione della popolazione, che viene messo in discussione. L’intento viene ammantato dai soliti luoghi comuni sulla pace nel mondo, a cui l’iniziativa non porterebbe alcun contributo concreto.

Scenari di guerra

Oggi non siamo in guerra. Però l’emergenza coronavirus, appena al di fuori dei nostri confini ovvero in Lombardia, ci mostra scenari che sono molto simili a quelli che si vedono in caso di conflitto armato. Ovvero, gli ospedali non hanno sufficienti posti ed infrastrutture per curare tutti i pazienti. Al punto che occorre scegliere chi curare in base alle speranze di vita. Il sistema sanitario lombardo non è da terzo mondo. E’ uno dei migliori d’Europa. Questo succede a pochi chilometri da noi. Avanti così ed anche la Svizzera si troverà nella situazione della Lombardia. Se non si fa nulla, è solo questione di tempo. Di poco tempo.

Anche i medici dicono che occorre chiudere le frontiere con l’Italia, lasciando entrare solo quei frontalieri che sono strettamente necessari al funzionamento del sistema sanitario ticinese, mentre tutti gli altri restano fuori. Per attuare questo provvedimento, che è necessario, bisognerà ricorrere anche all’esercito. Dunque, serve un esercito pronto, istruito ed adeguato. Questo è un esempio, purtroppo di stretta attualità, che dimostra che l’esercito non è un giocattolo per guerrafondai, come ritengono invece gli iniziativisti. E’, invece, una necessità concreta di ogni paese. Non serve un conflitto armato per rendere necessario o per giustificare un esercito.

Già solo questo motivo è sufficiente per votare no, senza controprogetto, a questa iniziativa. Un’iniziativa che, con la scusa di opporsi al finanziamento del materiale bellico – concetto facile da far passare nell’era del politikamente korretto stiracchiato all’estremo – vuole attaccare gli eserciti in generale.

Ed è una curiosa coincidenza, per quanto triste, che questo ennesimo tentativo moraleggiante di mettere di fatto in discussione l’esercito arrivi all’ordine del giorno del Consiglio nazionale proprio in piena emergenza coronavirus.

Manie da primi della classe

Entrando più nello specifico dell’iniziativa, essa chiede di vietare alla Banca nazionale svizzera, alle fondazioni e agli istituti della previdenza statale e professionale di finanziare i produttori di materiale bellico. Prevede inoltre che la Confederazione si adoperi a livello nazionale e internazionale affinché alle banche ed alle assicurazioni si applichino condizioni analoghe. La nozione di «produttori di materiale bellico» contemplata dall’iniziativa e i tipi di finanziamento che propone di vietare sono definiti in maniera così ampia che l’attuazione comporterebbe elevate restrizioni e conseguenze finanziarie negative. Gli istituti della previdenza statale e professionale, ossia le casse pensioni e compenswiss (fondi di compensazione AVS/AI/IPG), dovrebbero rinunciare alla loro strategia di investimento in fondi ben diversificati, che già tiene in considerazione principi etici. Questo vuol dire, dunque, che l’iniziativa andrebbe a nuocere alle rendite dell’AVS e a quelle pensionistiche. Decisamente un bell’affare, non c’è che dire!

La Svizzera è già molto attiva nella promozione della pace. E dunque irritano queste iniziativa di sinistra improntate all’autofustigazione per far credere che non si faccia mai abbastanza. La Svizzera sul piano internazionale fa già fin troppo, e sarebbe semmai ora che cominciasse a concentrare gli sforzi e le risorse sulle esigenze dei propri cittadini.

L’iniziativa porterebbe danni economici, anche all’AVS ed alle casse pensioni, in cambio di zero risultati concreti. Nessun paese al mondo e nessuna organizzazione sovranazionale segue criteri come quelli proposti. La Svizzera si troverebbe, ancora una volta, a fare la prima della classe. Tutto a proprio danno. E’ ora di finirla con questo deleterio “swiss finish”. Non solo in campo di materiale bellico, ma in tutti gli ambiti: dal clima alla piazza finanziaria.

Lorenzo Quadri