Il Consiglio di Stato in corpore si reca a Berna per discutere con il ministro degli Esteri Didier Burkhalter. Obiettivo è quello di sensibilizzare il Consigliere federale sulle conseguenze negative (eufemismo) della libera circolazione delle persone. Conseguenze che vengono sistematicamente minimizzate, quando non negate, dal Consiglio federale e dai lacchè della SECO. Naturalmente, e come di consueto, non dubitiamo che nell’incontro tra Burkhalter e Consiglio di Stato i sorrisi e le rassicurazioni non saranno mancate. Ma, e la cronaca recente lo insegna, il governo ticinese non ha fatto a tempo a ri-varcare il Gottardo che arriva la legnata.
Il Consiglio federale prende posizione su una mozione di chi scrive con cui si chiedevano misure contro l’invasione dei padroncini, formulando una serie di proposte. Ed è niet su tutta la linea. Ecco quindi la dimostrazione che la comprensione bernese nei confronti del Ticino è una presa in giro. Non che ci fossero molti dubbi al proposito. Altrettanto chiaro è che, se fosse l’altipiano a trovarsi a fare i conti con un’invasione di frontalieri provocata dalla devastante libera circolazione delle persone, gli interventi federali sarebbero arrivati. E tempestivi.
Per la nefanda SECO, il Segretariato di Stato per l’economia, in Ticino va tutto bene, anche in regime di libera circolazione delle persone. In realtà le cose vanno molto diversamente, e portano a dei drammi personali che non possono lasciare indifferenti.
Perché le persone ticinesi o residenti, che dopo decenni di lavoro vengono lasciate a casa e sostituite con frontalieri, non sono un’invenzione della Lega populista e razzista. Ancora nei giorni scorsi abbiamo sentito il racconto di una signora sessantenne. La donna è stata costretta dal suo ex datore di lavoro a scegliere tra due alternative: o prepensionamento (con perdite ingenti) o licenziamento. A prendere l’iniziativa, il suo nuovo capo: un frontaliere. Poiché la donna ha ancora un figlio agli studi ed è l’unica fonte di sostentamento del nucleo familiare, la situazione è diventata drammatica. Viene vissuta come un incubo senza uscita.
C’è un bel dire che perdere il lavoro è una cosa che al giorno d’oggi può capitare a tutti, che non è una vergogna, che bisogna farsene una ragione, che ci sono dei paracaduti sociali, e via elencando. Queste sono cose che raccontano quelli che il lavoro ce l’anno. Chi lo perde si trova invece confrontato, e sono le parole di chi queste situazioni le sperimenta di persona, con la rovina della propria esistenza. Perché è così che ci si sente: privati del proprio lavoro, della propria fonte di sostentamento, e quindi della propria dignità senza alcuna colpa.
Pensare che le misure accompagnatorie alla libera circolazione possano risolvere il problema è pura illusione. Con 60mila frontalieri ci vogliono altro che misure accompagnatorie, ci vogliono drastici cambiamenti di rotta. Gli accorgimenti contrattuali servono a poco, sono facili da aggirare. Basta, ad esempio, che il frontaliere venga assunto al 50% ma lavori in realtà al 100%, ed il gioco è fatto. Altro sotterfugio semplicissimo è il ricorso al contratto come stagista.
Purtroppo i casi di cui veniamo messi al corrente non fanno che confermare la realtà della colonizzazione da Oltreconfine: quando il responsabile del personale è frontaliere, ecco che sostituisce i residenti con frontalieri. Se poi capita che anche il collocatore sia frontaliere, si capisce facilmente dove si va a finire. E si capisce anche chi troverà lavoro in Ticino.
Liquidare dei drammi umani che si fanno sempre più numerosi come un non problema perché dalle statistiche taroccate della SECO, fatte su base nazionale (!), non emergono scompensi particolarmente gravi a seguito della devastante libera circolazione delle persone, è inaccettabile nei confronti del nostro Cantone. Ma soprattutto è inaccettabile nei confronti di chi ha vissuto in prima persona l’ingiustizia della sostituzione. Un Consiglio federale non può permettersi di trattare i propri concittadini ticinesi in questo modo, e il Ticino non può accettare che questo accada. Dopo il blocco dei ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri, dunque, urge un altro gesto forte.
Lorenzo Quadri