A Comano cresce l’agitazione, mentre si mobilitano le truppe cammellate P$

 

Forse è solo un’impressione ingannevole, tuttavia pare che alla RSI e dintorni si respiri una certa agitazione. Intanto qua e là compaiono dei dibattiti sul tema dell’emittente pubblica, la cui “equidistanza” viene messa in dubbio da più parti. Obiettivo di questi dibattiti è far credere che in casa RSI ci sia volontà di pluralismo e di confronto, quando è evidente che si tratta di esercizi fini a se stessi. Si organizza il dibattito dando spazio alle voci critiche per ostentare davanti al popolino quanto si è bravi e democratici. Poi, appena conclusa la trasmissione, si va avanti esattamente come prima.

Finché era solo la Lega…

Chiaro: finché era solo la Lega, o eventualmente la Lega e l’Udc, a denunciare gli sbilanciamenti a $inistra della radioTV di Stato,  a Comano e a Besso se ne impipavano alla grande. Tutte balle della Lega populista e razzista: come la sostituzione dei residenti con padroncini, il dumping salariale, la delinquenza d’importazione, l’immigrazione nello Stato sociale, eccetera. Finché era la votazione sul canone obbligatorio ad andare storta, si poteva anche fare finta di niente: tanto si sa che il popolo becero vota sbagliato. Senza contare che,  dopo pochi mesi, nel suo rapporto sul servizio pubblico radiotelevisivo, il Consiglio federale si è affrettato a dichiarare che l’è tüt a posct: non bisogna correggere né cambiare nulla. Anzi no,  dalla SSR si auspicava addirittura maggiore attenzione alle persone con passato migratorio; perché è per fare una TV per immigrati che si paga il canone più caro d’Europa. Sicché cominciamo a cancellare il dialetto ed introduciamo, invece, le trasmissioni sottotitolate in arabo.

Il boomerang

Ma il mantra del “l’è tüt a posct” potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang soprattutto quando è manifesto che le cose stanno un po’ diversamente: da un sondaggio è ad esempio emerso che il 60% degli utenti ritiene che l’emittente pubblica sia partigiana quando riferisce su questioni politiche. Ma soprattutto, in questo momento sono in atto alcune cosette che, per i reggenti di Comano e Besso, si potrebbero tradurre in “cavoli non dolcificati”.

Iniziativa No Billag

La più vistosa di queste cosette è l’avvicinarsi della votazione sull’iniziativa per l’abolizione del canone Billag (data non ancora fissata, ma dal voto non si scappa). Se la RSI dovesse venire di nuovo sconfessata dalle urne ticinesi, come accaduto per il canone obbligatorio, la faccenda si farebbe spessa. Si tratterebbe infatti della seconda asfaltatura consecutiva, ed inoltre non si potrebbe più tirar fuori la storiella che il voto non era sulla RSI in sé, ma solo sulle modalità di riscossione del canone: la carta è già stata giocata nel giugno 2015.

In vista di questo appuntamento con le urne, le truppe cammellate si stanno mobilitando. Infatti il P$ vorrebbe che il Consiglio di Stato si mettesse a fare campagna, naturalmente contro il No Billag. Perché come noto il Consiglio di Stato non deve prendere posizione sui temi federali, tranne che quando si tratta di sostenere le tesi di $inistra.

Questa intempestiva difesa d’ufficio da parte del P$ è assai sospetta,  perché dà proprio l’impressione che i signori delle frontiere spalancate, dell’adesione all’UE e del “devono entrare tutti” stiano correndo in soccorso del loro organo propagandistico. Chiaro: se anche la TV di Stato cominciasse ad opporsi al mantra del “dobbiamo aprirci”, perfino la famosa cabina telefonica diventerebbe troppo grande per le riunioni plenarie del P$.

Scherzetti parlamentari

Ma altre cose avvengono nella penombra parlamentare, lontano dai riflettori. Come questa: alle Camere federali potrebbe emergere una maggioranza in grado di cambiare una regola del gioco fondamentale. Attualmente l’ammontare del canone radioTV (illegalmente trasformato in imposta) lo decide il Consiglio federale. Ma un domani il parlamento potrebbe avere i numeri per attribuirsi questa competenza. Magari proprio argomentando che l’ammontare di una imposta non lo può decidere il governo.

Quale ragione c’è per compiere un passo del genere? Il disegno che ci sta dietro è semplice. Il Consiglio federale non si sogna di diminuire il canone (come ben si legge nel rapporto sul servizio pubblico citato sopra, Tout va bien Madame la marquise, sicché nulla deve cambiare). Invece una maggioranza parlamentare di “destra”, se la decisione dovesse un domani spettare al Legislativo,  prenderebbe in mano il machete. Con legittimità tanto maggiore se l’iniziativa No Billag dovesse ottenere un buon risultato in votazione popolare (che a livello nazionale non passerà, è pacifico).

Atto di fede?

L’agitazione in quel di Comano è dunque giustificata. Però non inganna nessuno, poiché la volontà di cambiare non si vede. La linea su cui si punta è sempre la stessa: la radioTV di Stato va difesa a prescindere, per un atto di fede, e chi non ci sta è uno spregevole Giuda. Se gli alti papaveri della RSI pensano di andare avanti così, auguri.

Lorenzo Quadri