Mai come in questi giorni si parla di anziani. Si pensa soprattutto a quelli che vivono al proprio domicilio. Ma anche gli ospiti delle case anziani si trovano penalizzati dal coronavirus nella vita quotidiana. L’azzeramento delle visite diminuisce il rischio di contagio, che per queste persone – molto in là con gli anni e non in salute, altrimenti sarebbero ancora a casa propria – ha spesso esito nefasto. Quindi sulla misura non si discute. Ma non si può nemmeno dimenticare che, a seguito di questo provvedimento, gli anziani non potranno vedere i propri congiunti. E questo per lungo tempo, non per un paio di settimane.
Il coronavirus ha portato all’inversione, improvvisa e traumatica, di una filosofia. Si è sempre detto che le case per anziani devono essere delle strutture aperte sui quartieri; che al loro interno ci deve essere movimento; che i loro bar e parchi devono essere aperti alla popolazione, perché gli anziani non vanno ghettizzati ma devono sentirsi ancora parte della società. Adesso è scattato il contrordine compagni: gli ospiti si trovano improvvisamente “blindati” per evitare il contagio. Niente incontri con i parenti, uscite esterne azzerate, animazioni ridotte e a piccoli gruppetti, eccetera. La necessità di questi provvedimenti non va messa in discussione. Ma non bisogna pensare che certe misure siano indolori. Ci sono molti anziani, specie i più disorientati, che erano abituati a ricevere lunghe visite da parenti o da volontari. Il che, tra l’altro, facilitava il lavoro anche al personale curante. Questo di punto in bianco non è più possibile e gli anziani ne soffrono.
Intanto un ringraziamento deve andare a tutti i dipendenti che lavorano duro per garantire la necessaria assistenza sociosanitaria a tutti. Esponendosi più di altri a rischi di contagio.
Lorenzo Quadri