L’azienda deplora perfino la decina di franchi all’anno di risparmio sull’IVA
Il Tribunale federale ha deciso, con sentenza dello scorso aprile, che sul canone radiotv non si deve pagare l’IVA. Ciò ha portato alla stratosferica riduzione del canone medesimo di ben 11 Fr all’anno: da 462 a 451. Che abbondanza!
Da notare che il canone SSR – di recente trasformato in imposta per una manciata di schede – rimane il più caro d’Europa.
Anche in questo caso si ripete, seppur fortunatamente con altre cifre, la situazione venutasi a creare con i premi di cassa malati pagati in eccesso. Vale a dire, cittadini cornuti e mazziati. In effetti, il tribunale federale avrà anche deciso solo in aprile che sul canone non si paga l’IVA. Tuttavia, è evidente che se l’IVA non è dovuta da aprile scorso, non lo era nemmeno prima. Il maltolto andava quindi restituito agli utenti. Ma va da sé che ciò non è avvenuto. Figuriamoci. Il cittadino che riceve qualcosa di non dovuto lo deve restituire con gli interessi. Lo Stato, evidentemente, no. Nel caso concreto, poi, a decidere sulla restituzione è stato lo stesso beneficiario dell’IVA indebitamente prelevata. Si può dunque immaginare con quale esito: furto legalizzato. Come detto, non è certo la prima volta che questo accade. Con i premi di cassa malati pagati in eccesso è andata anche peggio: al Ticino sono stati stuccati 450 milioni con restituzione di 70.
40 milioni in meno
La decisione sull’IVA comporta per la SSR minori entrate annue di 40 milioni (su 1,3 miliardi di canone). Alla RSI è stato dunque dato il compito di risparmiare 5.5 milioni (su 230 di canone). Non pare di trovarsi confrontati con cifre stratosferiche. Ma naturalmente l’azienda deplora le decisioni esterne e assume toni da tragedia greca. I collaboratori hanno ricevuto una circolare in cui si paventano tagli al personale e tagli ai programmi. Anche il sindacato svizzero dei media, SSM, ha mandato una lettera agli affiliati in cui inveisce contro le sentenze che lasciano ai contribuenti una decina di Fr in tasca in più all’anno.
Servizio pubblico?
Un chicca: nella lettera da lui firmata, il direttore generale De Weck indica pure, come causa di difficoltà, il fatto che, con la modifica della Legge sulla radiotelevisione, la quota del canone destinata alle emittenti private è passata dal 4% al 6% (trattasi di marchetta inserita per avere il sostegno delle emittenti private, e dei loro rappresentanti in parlamento, alla trasformazione del canone in imposta). Ma come, De Weck: prima vuoi la legge che ti trasforma il canone (causale) in un’imposta (versata senza motivo, sicché paga anche chi non vuole o non può usufruire dei servizi della SSR, che tutto sono tranne prestazioni di base, visto che se ne può fare benissimo a meno), e poi ti lamenti perché la fettina delle emittenti private, cosa arcinota fin dall’inizio, è aumentata di qualche briciola?
Non ci si venga poi a raccontare la fregnaccia dell’importanza del servizio pubblico della SSR per la formazione civica della popolazione, perché l’azienda, colonizzata dalla $inistra (che non è solo il P$, ma anche l’ala $inistra dei partiti storici), dal punto di vista “civico”, più che propagandare “aperture”, disfattismo ed autofustigazione non fa. E se oggi il termine patriota è diventato una parolaccia, lo dobbiamo in buona parte anche alla radiotv di Stato finanziata da tutti i cittadini con il canone più caro d’Europa.
Catastrofismo pro-saccoccia
In considerazione degli importi in gioco, 40 milioni a livello nazionale, è chiaro che il catastrofismo in cui si crogiola la SSR – facendo di tutto affinché il piagnisteo abbia la massima amplificazione – è ampiamente fuori luogo. Il disegno è un altro. E’ noto che, dopo il magro risultato del 14 giugno sulla nuova LRTV, fioriscono le richieste di riduzione del canone. E allora l’azienda comincia già, come sua abitudine nei confronti di qualsiasi critica, a chiudersi a riccio: sono richieste da sciagurati, non se ne parla nemmeno, non si può toccare neanche un centesimo, e avanti con l’offensiva dei “sa po’ mia”.
Invece, se ci sarà da tirare la cinghia, anche la RSI, come tutti gli altri enti pubblici, lo farà senza tante storie. Sull’ammontare del canone e sul servizio pubblico si può e si deve discutere. Per troppo tempo l’azienda ha potuto fare tutti i propri comodi, in particolare propaganda di parte, con soldi della gente. Con il canone obbligatorio ha tirato troppo la corda.
Nessuno ha preso le parti della RSI
La vicenda delle dimissioni della Lega dalla CORSI, a questo proposito, è indicativa. Dopo la reazione, del tutto inadeguata, del presidente Gigio Pedrazzini – secondo cui il fatto che il primo partito ticinese sia uscito sbattendo la porta da un’azienda pubblica non è importante – nessuno è sceso in campo a difesa della RSI. Ohibò. Il giornale di servizio LaRegione ha intervistato Enrico Morresi sperando che se la prendesse con la Lega populista e razzista. Invece anche lui ha ammesso che il primo partito è stato bistrattato dalla CORSI.
I vertici dell’azienda hanno dunque ulteriore materia di riflessione, nella denegata ipotesi in cui la sonora bocciatura rimediata il 14 giugno dal popolo ticinese non ne avesse ancora fornita a sufficienza. Ma si tratta, ovviamente, di una pia illusione. A Comano l’autocritica non è di casa. Si pensa di avere ragione per definizione, si reagisce alle osservazioni con ipersensibilità stizzosa e si va avanti come se “niente fudesse” . Finché…
Lorenzo Quadri