Di recente il consigliere nazionale grigionese UDC Heinz Brand (intervistato sul Mattino nelle scorse settimane) ha fatto un viaggio in Ungheria assieme ad alcuni colleghi per vedere come quel paese gestisce i centri d’accoglienza per asilanti.
Si “scopre” così che in Ungheria i centri asilanti sono strutture circondate da muri alti fino a 4 metri, guarniti di filo spinato, e sorvegliati da videocamere. Nessuno entra o esce senza permesso.
In altre parole si tratta di strutture inequivocabilmente chiuse. Ovvero strutture che, se venivano per caso citate dalla Lega e dal Mattino, provocavano gli acuti strilli dei moralisti a senso unico ed in funzione partitica.
Ma come, ci si vuole conformare allo standard di un paese UE e gli europeisti si scandalizzano?
Valvola di sfogo
Se la Svizzera proponesse centri asilanti come quelli ungheresi, non osiamo immaginare le accuse di razzismo che ci pioverebbero addosso, sia dall’interno che dall’esterno. Dall’interno significa dai noti spalancatori di frontiere, secondo i quali dobbiamo farci carico di tutti e mantenere tutti. Dall’esterno vuol dire da chi si approfitta del buonismo elvetico e pertanto si scaglia contro ogni deviazione da questa linea, ben sapendo che basta un’accusa di razzismo, vera o falsa che sia, per ottenere dalla Svizzera tutto quello che si vuole.
Del resto ai nostri vicini fa molto comodo confinare con un paese come il nostro, che si ostina a voler rimanere attrattivo per gli asilanti. In questo modo forniamo infatti ai nostri vicini una valvola di sfogo verso cui indirizzare gli immigrati che non vogliono tenere sul loro territorio. Al finto rifugiato che sbarca in Italia si potrà senz’altro dire, con successo, di andare in Svizzera. Certamente l’invito ad andare in Ungheria non sortirebbe lo stesso risultato (al di là delle questioni puramente geografiche).
I residenti ne fanno le spese
Le ondate di arrivi di asilanti proseguono. L’urgenza di rendersi meno attrattivi è evidente. Se si verificano, e continuano a verificarsi, i drammi dei barconi che affondano, è anche perché c’è chi incoraggia simili traversate, permettendo il diffondersi dell’immagine della Svizzera che mantiene tutti. L’ipocrisia buonista ha molti morti sulla coscienza.
I contraccolpi degli sbarchi in massa in Italia li sentiremo molto presto. Tutti vorranno venire in Svizzera, magari incoraggiati dalla consapevolezza che da noi i finti asilanti si muovono liberamente sul territorio, possono passare la giornata ai giardinetti a sbevazzare e a provocare disordini, ricevono bei vestiti e, per qualche motivo misterioso, sono tutti dotati degli ultimi modelli di iphone. A farne le spese è la qualità di vita dei residenti. Ma, evidentemente, è più importante essere “aperti”: a fronte di questo sommo valore, la qualità di vita della popolazione conta come il due di briscola.
Strutture chiuse
E’ chiaro, come dice Brand, che l’unico modo per rendere accettabile l’insediamento di un centro asilanti ai Comuni, compresi quelli di sinistra, è di creare delle strutture chiuse, i cui ospiti non possano fare danni nei dintorni. Questi centri avranno peraltro effetto dissuasivo.
Se può farlo l’Ungheria, Stato membro UE, non si vede perché altri non potrebbero fare la stessa cosa. Non risulta peraltro che Budapest sia stata oggetto di raid militari UE a seguito dei centri asilanti col filo spinato. Ovvio: eurobalivi ed organizzazioni internazionali prive di qualsiasi legittimità democratica preferiscono prendersela con la Svizzera; all’insegna del “vincere facile”.
Il “modello ungherese” non è una boutade populista e razzista; diventerà ben presto una necessità. Un paese come il nostro che non è riuscito nemmeno a stabilire che i richiedenti l’asilo ammessi provvisoriamente e che devono lasciare il paese non possono farsi raggiungere da parenti, o da persone spacciate come tali (la distruzione di documenti è una pratica ben conosciuta), abusando del ricongiungimento familiare, quando l’emergenza si intensificherà si troverà in guai seri. A farne le spese saranno i residenti. Cioè noi.
Il modello ungherese è un argomento da discutere seriamente, che deve entrare a far parte dell’agenda politica. Perché quest’ultima non la stabiliscono i politikamente korretti rottamatori della Svizzera.
Lorenzo Quadri