Competitività fiscale a ramengo: l’OCSE detta le aliquote minime per le multinazionali

Il prossimo 18 giugno i cittadini svizzeri saranno chiamati a votare sull’attuazione dell’imposizione minima dell’OCSE in Svizzera. I 137 paesi dell’OCSE e del G20 hanno infatti raggiunto, verso la fine del 2021, un’intesa su un’aliquota minima del 15% per le società attive a livello internazionale che registrano un giro d’affari annuo di almeno 750 milioni di euro. In vari Cantoni oggi vige un’aliquota inferiore.

In Svizzera le imprese interessate dalle nuove regole sono 22. Per tutte le altre  non cambierà nulla. Per giustificare questa disparità di trattamento tra aziende occorre una modifica costituzionale: da qui la votazione popolare.

In concreto la Svizzera dovrà creare, per le 22 multinazionali di cui sopra, un’imposta integrativa da applicare a quelle che pagano le tasse in Cantoni dove l’imposizione fiscale non raggiunge il15%. Se Berna non procederà in tal senso, saranno paesi esteri a riscuotere la differenza tra l’imposizione attuale ed il 15%. Quindi il gettito, invece di rimanere in patria, emigrerà.

Seconda volta in pochi anni

Quello sopra indicato è il secondo “ribaltone” nel giro di pochissimi anni: nel maggio 2019 è infatti stata approvata la RFFA, riforma fiscale e finanziamento dell’AVS, che ha comportato l’abolizione dei privilegi fiscali delle società a statuto speciale.

Queste “riforme” a getto continuo non avvengono per volontà della Svizzera. Sono, per contro, il frutto di pressioni internazionali ricattatorie. Di diktat provenienti in prima lineadagli USA. La minaccia è sempre la solita: l’inserimento della Svizzera in liste nere di paradisi fiscali. Sempre dagli States è partita la guerra economica contro il nostro Paese, che ha portato alla fine del segreto bancario per i clienti esteri, con conseguenze deleterie sia occupazionali che di gettito fiscale. Queste coseaccadono in particolare quando alla Casa Bianca c’è un inquilinoesponente dei Democratici. Come è il caso oggi.

Attacco alla sovranità

Un paio di anni fa gli USA si sono accorti che lo stato delle proprie casse pubbliche era sensibilmente peggiorato a causa della pandemia di covid. Da qui l’urgenza di riportare soldi – e buoni contribuenti – in casa. Questo è l’obiettivo delle aliquote minime, calate dall’alto a tutti e mirate a sabotare la competitività fiscale altrui. La volontà è quella di impedire di essere fiscalmente attrattivo a chi se lo potrebbe permettere. L’ingerenza nella sovranità fiscale delle singole nazioni è manifesta. Come l’UE pretende di imporre alla Svizzera le proprie leggi ed i propri giudici (stranieri) tramite accordi quadro istituzionali, così l’OCSE ci appioppa le sue aliquote fiscali.

La sovranità fiscale è uno dei fondamenti della sovranità tout-court. Le principali rivoluzioni della storia occidentale (francese, americana) traggono la propria origine da diatribe sul fisco: ossia, su chi ha il diritto di far pagare le imposte a chi, e quante.
Dal punto di vista istituzionale, l’imposizione internazionale di aliquote minime è grave e deplorevole. Vergognose sono poi le uscite del presidente USA Joe Biden, che ancora nel recente passato si è permesso di definire la Svizzera un paradiso fiscale, malgrado tutte le “riforme”cui il nostro paese si è dovuto sottoporre a caro prezzo. Proprio lui, che viene dal Delaware, che un paradiso fiscale lo è davvero.

Ulteriore elemento negativo: la nuova imposizione OCSE vanificherà alcuni strumenti interessanti introdotti nel passato recente con la RFFA. In primis il patent box, ovvero l’aliquota fiscale di favore sul reddito da brevetti: anch’essa non potrà scendere sotto il 15%. A risentirne sarà l’attrattività del nostro Paese per aziende innovative.

Modifiche non volute

Anche questa volta le modifiche di regime fiscale non sono volute né cercate dalla Confederazione, che si trova costretta a subirle. Senza nemmeno la possibilità di ricorrere alla “disobbedienza civile”: come detto, se non preleva Berna, preleveranno altri Stati.Già il solo fatto che le regole continuino a cambiare  – per diktat esterni – danneggia uno dei principali atout del nostro paese: la stabilità e la certezza del diritto.

E’ pur vero che qualche correttivo alla riforma OCSE è stato apportato, in particolare a beneficio di quegli Stati (come appunto la Svizzera o l’Irlanda) dove le multinazionali hanno effettivamente uffici e dipendenti, e non delle semplici sedi-bucalettere come invece avviene in talune strane isolette.

Le conseguenze reali dell’imposizione minima OCSE sul gettito della Confederazione rimangono misteriose. E’ evidente che la competitività della nostra piazza economica accuserà il colpo(l’ennesimo). Le aliquote fiscali non sono l’unico criterio per la scelta di un’ubicazione. Rimangono tuttavia un elemento importante. Specie se si considera che in Svizzera i costi (specialmente i salari) rimangono elevati per i ben noti motivi.

Nuove uscite

Chiaramente aliquote più elevate significa più gettito. Ma se, in conseguenza dell’aggravio fiscale, le aziende partono, il gettito diminuisce. Le stime iniziali indicavano minori introiti di 3-4 miliardi di franchi all’anno. Adesso si ipotizzano invece maggiori entrate per le casse pubbliche comprese tra gli uno ed i 2,5 miliardi a partire dal 2026-2027. Se questa previsione ottimistica si avvererà, è tutto da vedere. Certo è che ci saranno delle nuove uscite: le aziende colpite dall’imposta integrativa, per rimanere in Svizzera, pretenderanno qualcosa in cambio. Infatti le eventuali maggiori entrate fiscali si tradurranno in ulteriori costi per le imprese.

La spartizione

Un’altra diatriba ha riguardato la suddivisione del (presunto) nuovo gettito. C’era chi voleva una ripartizione al 50-50 tra Cantoni sede e Confederazione, e chi invece proponeva il 75-25. Alla fine l’ha spuntata quest’ultima opzione (il Consiglio nazionale inizialmente aveva approvato, per 99 voti contro 89, la suddivisione in parti uguali). La variante 75-25 è maggiormente rispettosa della sovranità cantonale e quindi del federalismo. Tuttavia, a livello nazionale, i beneficiari si riducono: i Cantoni (e quindi i loro abitanti) dove non hanno sede le multinazionali toccate dalla riforma, ottengono meno. Ciò potrebbe costituire un handicap al momento della votazione popolare.

Altro che “diritti popolari”!

Sta di fatto che ancora una volta la Svizzera si trova davanti ad una non scelta. L’aliquota fiscale minima è già stata stabilita a livello internazionale. Il 18 giugno il popolo non avrà alcuna possibilità di contestarla. Potrà solo decidere se l’imposta compensatoria la incasserà la Svizzera (votando Sì) oppure paesi esteri (votando No). La scelta appare scontata. Inaccettabile è la violazione della sovranità fiscale che ci porta a questo punto.

Lorenzo Quadri