Domenica scorsa, mettendo in prima pagina quel titolo, “Forza Michele!” non avrei mai immaginato che di quel giorno non avresti neppure visto il tramonto.

Certo, sapevo che la situazione era grave. Che era disperata. Ma non fino a questo punto.
Te ne sei andato così, in punta di piedi, con discrezione e pudore, allo stesso modo con cui hai affrontato la terribile malattia che ti è piombata addosso dall’oggi al domani.

In pochi mesi hai saputo dimostrare a tutti quanto valevi; hai fatto quello che tanti  tuoi colleghi non hanno fatto in anni di permanenza in carica. Quale smacco per i tuoi denigratori con la puzza sotto il naso. Quelli abituati a guardare la forma, non essendo in grado di riconoscere la sostanza. Quelli che credevano di poter spacciare una persona semplice, senza ipocrisie e bizantinismi, per un sempliciotto. Quelli che si inchinano davanti alla boria, poiché la credono un segno distinzione.
Costoro sono poi gli stessi che, perfino nei tuoi ultimi giorni di vita, hanno ancora tentato di denigrarti con pretesti  di raro squallore. Perché l’odiato leghista va attaccato con cattiveria sempre e comunque; meglio ancora quando si pensa di poterlo colpire in un momento di debolezza.

Caro Michele, eri un buono, intenzionato a fare del bene e questo i ticinesi, o almeno la grande maggioranza di essi, l’hanno capito. Anche i pochi mesi. La commozione che la tua dipartita ha suscitato non solo tra chi ti era  vicino, sia personalmente che professionalmente o politicamente, ma anche tra chi non ti aveva mai incontrato di persona, ne è la prova più tangibile. Non basta una morte improvvisa a spiegare un cordoglio così generale e sentito. Tu  non simulavi, non mentivi, non tenevi l’interlocutore a distanza. Per questo, anche chi non ti conosceva, ha l’impressione di aver perso un amico.

A te, che non amavi la mediatizzazione né il trambusto, dopo la morte è stata riservata un’ulteriore ingiustizia: l’indegno sciacallaggio mediatico attorno alla tua successione politica. Ancora non erano stati celebrati i funerali, e già si era scatenata la ridda di ipotesi più fantasiose su chi dovesse entrare in Consiglio di Stato al tuo posto. Con la consueta, bieca intenzione di inventare conflitti all’interno della Lega.

E non si tenti di giustificare l’ingiustificabile con la fregnaccia della Realpolitik. Come se in questo Cantone non fosse possibile concedere qualche giorno di tregua ai familiari e agli amici duramente provati. Come se la salvezza della galassia dipendesse dal conoscere subito un nome. Quando, ai tempi delle elezioni presidenziali del 2000, gli Stati Uniti sono rimasti mesi senza sapere chi fosse il presidente!

Caro Michele, ne sei andato troppo presto. Ma non serve inveire contro il destino. Invece, siamo grati di averti avuto tra noi.  E, con un pizzico di presunzione, mi permetto di credere che quel “Forza Michele” sul Mattino di domenica scorsa, se l’hai visto, ti abbia fatto piacere.
Noi andremo avanti con tutte le nostre forze. Non molleremo. Lo abbiamo promesso al Nano, a Rodolfo, a Giorgio, a Flavio. Lo promettiamo anche a te.

Caro Michele, sei partito in un batter d’ali; rapido e leggero come uno degli uccelli che tanto amavi. Adesso anche tu sei libero di volare come loro.
Lorenzo Quadri