Introdurre una “tassa d’entrata” per i frontalieri? Secondo il direttore del Seminario per la Scienza delle finanze dell’Università di Friburgo Reiner Eichenberger, “sa po’”. Il professore ha sostenuto questa posizione le scorse settimane, in occasione di un convegno. E, come promesso di recente da queste colonne, la proposta di tassa “ad hoc” per i frontalieri è stata portata a Berna sottoforma di mozione al Consiglio federale.
Fuori dagli schemi
Il buon Eichenberger si è già segnalato per posizioni “fuori dagli schemi” – o per lo meno: fuori dagli schemi degli intellettualini di regime, quelli che spacciano delle posizioni politiche “pro frontiere spalancate” per posizioni tecniche di gente che “ha studiato”. Ad esempio, Eichenberger è stato tra i primi professori di economia a dire che i bilaterali non sono poi così importanti per la Svizzera. Ed infatti in un mondo globalizzato la sottoscrizione di trattati commerciali interessanti per tutte le parti coinvolte non implica affatto la libera circolazione delle persone. Questa è solo nell’interesse degli Stati Ue a noi vicini per partire all’assalto della diligenza del mercato del lavoro elvetico, mitigando così la mancanza di impieghi in patria. Il giochetto, è ovvio, va a scapito degli svizzerotti. I quali però non muovono una paglia per tutelarsi: non sia mai che si rischi di dispiacere ai funzionarietti di Bruxelles (non eletti da nessuno)!
Il ragionevole dubbio
Ora, se un professore universitario dichiara pubblicamente che introdurre una tassa ad hoc per i frontalieri “sa po’”, nasce il ragionevole dubbio che questo potrebbe anche essere vero. Non si vede infatti – o meglio: lo si vede fin troppo bene – perché dovrebbero venire prese sul serio solo i pareri pro-frontiere spalancate. Inoltre, il fatto che la SECO si sia messa subito a starnazzare contro la proposta del buon Eichenberger è semmai un argomento a favore della medesima. Specie se si considera l’allucinante sequela di bestialità in cui si è prodotta, pro sacoccia Consiglio federale, la Segreteria di Stato dell’economia, gettando nel water gli ultimi scampoli della propria credibilità: da “non è vero che i frontalieri soppiantano i ticinesi sul mercato del lavoro” fino all’ultima “non importiamo disoccupati dall’UE”.
Cogliere lo spiraglio
Se sussiste il ragionevole dubbio che una tassa per frontalieri sia fattibile, allora bisogna cogliere lo spiraglio (grande o piccolo che sia) per trasformarla in realtà. Questo in barba alla fregnaccia della “non discriminazione”, principio che gli svizzerotti fessi sono gli unici ad applicare. Di motivi per tassare i frontalieri con un’imposta apposita ce ne sono a bizzeffe. La tutela del mercato del lavoro ticinese è uno di questi. Un altro è la compensazione delle spese generate dall’invasione da sud. Pensiamo ad esempio all’usura e all’intasamento delle strade provocato da 62’500 frontalieri che entrano in Ticino uno per macchina. Tutto ciò ha un costo. E chi paga? Ma il contribuente rossoblù, ça va sans dire! Stesso discorso per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti generati dai frontalieri. Ma come, non doveva valere il tanto decantato principio di causalità, ossia il politikamente korrettissimo “chi inquina paga”? Ed invece, ma tu guarda i casi della vita, il frontaliere (o padroncino) inquina, ma il ticinesotto paga.
Ci si può sbizzarrire
Sulle modalità di riscossione dell’ipotizzata tassa ci si può sbizzarrire. Si può pensare a contributi una tantum al momento della richiesta o del rinnovo del permesso G, a contributi annuali ricorrenti (meglio), ad una suddivisione dell’onere tra datore di lavoro e frontaliere, eccetera. Se il Cantone riuscisse a riscuotere, ad esempio, anche solo 500 Fr all’anno per frontaliere, avremmo un incasso di 30 milioni all’anno. E con 30 milioni all’anno un po’ di cose si possono fare… specie per quel che riguarda l’inserimento professionale dei ticinesi.
Ricordiamo che la Lega negli anni scorsi aveva già proposto a livello cantonale tramite iniziativa parlamentare l’introduzione di un’ “ecotassa” per frontalieri (che verrà ora parzialmente sostituita, se i ticinesi l’approveranno il prossimo 5 giugno, dalla cosiddetta “tassa di collegamento”). Naturalmente contro la proposta leghista si è subito levato il coro “a cappella” dei “sa po’ mia”. Ma vuoi vedere che invece, ancora una volta, la Lega aveva ragione?
Lorenzo Quadri