Che la Svizzera potrebbe diventare una base logistica ideale per i terroristi ISIS ce l’avevano detto. Non c’è neppure di che esserne particolarmente sorpresi. E, se in Svizzera ISIS può attecchire facilmente, è chiaro che il nostro Cantone non può chiamarsi fuori. Anzi. Ed infatti il Corrierone del Ticino ha annunciato nei giorni scorsi la presenza di una pagina facebook che si autodefinisce «la rivolta siriana contro il regime di Assad in canton Ticino», e supporta le gesta degli jihadisti – o comunque ne sminuisce i crimini. Le raccapriccianti iniziative di costoro sono purtroppo drammaticamente note.

Il ministero pubblico della Confederazione peraltro non esclude che tra la quarantina di jihadisti partiti dalla Svizzera per la  Siria ce ne siano anche di partiti dal nostro Cantone.

Fallimento su tutta la linea

Queste notizie non sono una sorpresa. Se qualcuno pensava che la Svizzera fosse, per qualche misterioso motivo, immune dal contagio estremista, perché “da noi queste cose non succedono”, ha toppato alla grande. Del resto, per quale motivo “queste cose” da noi non dovrebbero succedere? A furia di “aperture” ci siamo portati in casa di tutto e di più.

E la presenza di jihadisti in Svizzera dimostra, semmai ci fossero ancora dei dubbi, che la multikulturalità predicata dagli spalancatori di frontiere è un fallimento su tutta la linea. 

Coloro che si sono attribuiti un’autorità morale, senza averne alcun titolo, hanno fatto il lavaggio del cervello alla popolazione. Niente di più facile, visto che tali cerchie hanno colonizzato, facendo “clan”,  l’informazione, l’educazione, la kultura. Il Diktat fatto passare a suon di ricatti morali è chiarissimo: solo la  multikulturalità ha diritto di cittadinanza. Le posizioni contrarie? Razzismo, populismo, xenofobia!

Sempre gli stessi spalancatori di frontiere, e sempre a seguito della loro  presunta (e del tutto ingiustificata) superiorità morale, hanno stabilito che razzismo e xenofobia sono il peggior marchio d’infamia. Il disegno è chiaro: levarsi di torno gli oppositori. Alla faccia della libertà d’espressione, che viene invocata a gran voce, ma solo per gli amici. Coloro che osano contrastare vengono ridotti al silenzio, tramite delegittimazione come razzisti e xenofobi: in quanto tali, non possono che sostenere posizioni abiette ed abominevoli.

L’Occidente ronfa

Il trucchetto però non funziona più. Il petardo è scoppiato in mano ai politikamente korretti. L’Occidente (Svizzera compresa) ha dormito alla grande. Narcotizzato a suon di aperture, si è cullato nella patetica illusione che culture “di paesi lontani” incompatibili con uno Stato di diritto, che rifiutano semplicemente i principi del nostro modo di vivere occidentale, potessero venire accolte in casa nostra pari-pari. Va da sé, senza porre condizioni: figuriamoci, sarebbero inaccettabili concessioni ai razzisti e xenofobi! Nessuna imposizione agli immigrati!

 Si è colpevolmente rinunciato ad imporre il riconoscimento dei nostri valori a chi vuole vivere in casa nostra. Si sono calate le braghe in nome del politikamente korretto. Non solo non si è imposto nulla, ma si è pure dato accesso scriteriato al nostro Stato sociale. Così ci troviamo con una schiera di Imam in assistenza che predicano non si sa bene cosa.

Cambiare rotta

Adesso che il disastro comincia ad emergere nella sua enormità, è urgente, urgentissimo modificare rotta.  La multikulturalità è completamente fallita: se ne prenda atto e ci si comporti di conseguenza. Invece di continuare a starnazzare alla xenofobia e al razzismo, si impongano i nostri valori ed i nostri modi di vita a chi intende trasferirsi in casa nostra. Chi vuole vivere in Ticino come se fosse in Afghanistan, non viene in Ticino ma va – o torna – in Afghanistan.

Quindi, come primo segnale bisogna concretizzare subito le misure volute dal popolo a tutela del nostro paese: divieto di burqa ed espulsione degli stranieri che delinquono. Questo per cominciare a mostrare che in Svizzera non è che ci si possa proprio permettere di fare tutti i propri comodi.

E poi, come diceva il divisionario Peter Regli, ex capo dell’”intelligence” elvetica, per combattere cellule jihadiste insediatesi in Svizzera  “bisogna dare ai servizi segreti la possibilità di penetrare i mezzi elettronici di nemici potenziali (internet, telefono) e di osservare questa gente in modo più costante”.

Oppure la privacy la si distrugge solo ai cittadini che hanno la gravissima colpa di aver depositato qualcosa in banca, mentre per i delinquenti stranieri vige il garantismo più stretto?

Lorenzo Quadri