Per l’ennesima volta la Lega ed il Mattino avevano ragione. Il numero dei padroncini che lavorano in Svizzera è letteralmente esploso. Le cifre snocciolate dal direttore della SSIC Ticino Vittorino Anastasia durante l’assemblea di giovedì fanno rizzare i capelli in testa. Altrettanto allucinante è il silenzio del Cantone al proposito. Ma il DFE esiste ancora?
Già nel corso dell’anno 2012 il numero delle notifiche di padroncini e distaccati italiani attivi in Ticino è aumentato del 43% a 23mila unità, le proiezioni di quest’anno indicano un aumento, udite udite, a 35 mila unità! Sì, avete letto giusto: da 23mila a 35mila che, in base all’evoluzione in atto dal mese di aprile, potrebbero diventare 38mila. Per avere un termine di paragone, nel 2005 le notifiche erano 8000 mila. In pochi anni sono dunque aumentate di 30mila unità! Una crescita assolutamente folle, che non si giustifica in alcun modo con l’andamento dell’economia ticinese, per quanto il settore dell’edilizia (dove sono principalmente attivi i padroncini) ancora “tiri”.
Da notare, poi, che oltre alle notifiche bisogna considerare anche chi entra a lavorare in Ticino senza notificarsi, quindi la cifra reale è ancora maggiore rispetto a quella ufficiale.
Proprio come la Lega ed il Mattino della domenica hanno sempre detto fin dall’inizio, la libera circolazione delle persone, unita con lo sfacelo dell’economia italiana, provoca un vero e proprio assalto alla diligenza. I padroncini non pagano tasse né oneri sociali da nessuna parte. Gli stipendi pagati ai dipendenti sono spesso e volentieri da terzo mondo (altro che su standard elvetico come da misure accompagnatorie; ma tanto, si dicono Oltreconfine, «gli Svizzeri sono fessi e non si accorgono di niente»).
E’ ovvio che in questo modo i padroncini fanno concorrenza sleale, in casa nostra, alle ditte e agli artigiani ticinesi. Vedremo in quante giornate lavorative si saranno trasformate le 38mila notifiche che ci attendono a fine anno. Partendo da quel dato, procedendo a spanne, si può calcolare quanti soldi mancano all’economia ticinese e vanno a finire in quella dell’Italia (con cui siamo in guerra economica). Andando a naso si può tranquillamente immaginare che si navighi sul miliardo di Fr.
Immaginare che una simile emorragia non avrà conseguenze occupazionali gravi, e quindi non prendere misure serie ed incisive per arginare questa autentica invasione, significa andare dritti verso la catastrofe.
Misure attuabili
Premettendo che l’unica soluzione è la rescissione degli Accordi bilaterali, cosa si può fare in concreto adesso? Per prima cosa, abolire immediatamente le deleterie notifiche on-line. La Lega ed il Mattino lo chiedono da tempo, ma naturalmente guai a dare ragione alla Lega populista e razzista…
Le notifiche devono venire presentate in forma cartacea, con l’obbligo di allegare una lunga lista di documenti da consegnare di persona. Per l’evasione di queste pratiche creiamo un solo sportello al confine. Quando la coda raggiungerà lunghezze chilometriche (ossia nel giro di pochi giorni) ed i tempi di attesa prima di ottenere un permesso saranno diventati di vari mesi, possiamo stare certi che l’invasione scemerà.
Il permesso rilasciato, poi, visto che noi svizzerotti siamo notoriamente servizievoli nei confronti degli Stati vicini, viene mandato in copia all’Agenzia delle entrate. Così il fisco italiano sa che il padroncino X (che in patria naturalmente non dichiara nulla) ha lavorato in Ticino nel tal periodo, e potrà andare a battere cassa.
Altri ostacoli burocratici possono venire aggiunti a piacimento. Ad esempio l’obbligo, quale presupposto per poter lavorare in Ticino, ad iscriversi ad una qualche associazione mantello inventata ad hoc, sul modello delle casse edili italiane. Ovviamente – proprio sul modello italiano – l’iscrizione avviene a piena discrezione di misteriosi presidenti ed ha una tempistica di vari mesi.
E visto che, come giustamente osservato, se i padroncini arrivano in Ticino è anche perché qualcuno li chiama, pubblichiamo on-line i nomi delle ditte che ricorrono a questo tipo prestazioni a basso costo che rovina il tessuto economico locale.
Si possono inoltre senz’altro aumentare i controlli ed inasprire le sanzioni per chi sgarra; e quasi la metà dei padroncini controllati nel 2012 ha dimostrato di essere irregolare. Da notare che questi provvedimenti non costituiscono un aumento dei costi, poiché i nuovi ispettori si finanzierebbero abbondantemente con le contravvenzioni spiccate.
Questi sono solo alcuni esempi di misure attuabili subito. Anche in regime di devastante libera circolazione delle persone. Se ne possono senz’altro trovare di ulteriori: basta fare un piccolo sforzo di fantasia. Sforzo che in questo momento è indispensabile e urgente. Priorità uno. Certo che se al DFE si pensa solo a fare contabilità…
Lorenzo Quadri