Frontalieri e occupazione, la spirale discendente

La deleteria spirale discendente in cui la libera circolazione delle persone sta precipitando il nostro mercato del lavoro è sotto gli occhi di tutti. Ed i segnali si fanno sempre più allarmanti.
Dalle ditte che negli annunci di lavoro indicano esplicitamente quale requisito il domicilio nei comuni italiani della fascia di confine al recente scandalo dei call center di Chiasso (che per ottenere i permessi per assumere frontalieri indicavano dei salari, ed una volta ottenuti i permessi modificavano le condizioni lavorative) gli esempi si sprecano.
Va detto che, se ci sono aziende con sede in Ticino che sfacciatamente indicano nelle offerte di lavoro che cercano solo frontalieri, altre fanno la medesima cosa per “atti concludenti”. E non sono poche. Quando la paga indicata per un impiego a tempo pieno è di 200 Fr mensili, è ovvio che questo impiego non è alla portata di dipendenti ticinesi.
Quindi chiediamoci a cosa servono queste aziende, che non pagano le tasse in Ticino e che assumono solo frontalieri: solo a generare traffico e a consumare territorio. Oltre, va da sé, a creare dumping salariale.
Vista la situazione sul mercato del lavoro in questo Cantone che sta rapidamente degenerando verso l’esclusione dei ticinesi dall’occupazione in casa propria, è ovvio che sono necessarie ed urgenti delle contromisure. Per questo è allucinante che il Consiglio di Stato a maggioranza approvi un progetto Interreg (un nome, una garanzia) che spalanca le porte agli apprendisti frontalieri. Ringraziamo sentitamente la gestione socialista del DECS. Gli apprendisti frontalieri già sono quasi il 10% del totale (settecento su 9000), in continua crescita. Quindi bisogna chiudere, altro che “aprire”, naturalmente a senso unico!  E chiudere senza alcun timore di passare per razzisti.
Di questi tempi dalla vicina Penisola alcuni giornalisti si interessano alla questione del frontalierato. A loro ed ai loro connazionali si chieda cosa farebbero se in Lombardia si trovassero a dover fare i conti con 1,7 milioni di lavoratori stranieri a basso costo. Forse che non prenderebbero dei provvedimenti? La Lombardia ha infatti 10 milioni di abitanti. Il Ticino di abitanti ne ha 320mila. E si trova a fare i conti con 56mila frontalieri. Quindi il rapporto residenti – frontalieri, riportato alla realtà lombarda, è quello indicato.
E allora vediamo di intervenire con i mezzi che abbiamo a disposizione. Ciò in attesa che la libera circolazione delle persone, che vieta di dare la priorità ai residenti nelle assunzioni, salti.
Le possibilità d’azione ci sono. Certo bisogna essere creativi. E soprattutto, non bisogna voler fare i primi della classe nell’applicare la libera circolazione delle persone!
Tanto per cominciare bisogna aumentare, e di un bel po’, il carico fiscale sui frontalieri, che devono pagare le imposte secondo le aliquote italiane. Lo statuto fiscale di frontaliere deve dunque cadere: esso oltretutto crea privilegi immotivati tra gli stessi cittadini italiani.
Se i frontalieri dovranno pagare più tasse (ma tante di più) non potranno più nemmeno accettare salari da dumping come quelli che circolano attualmente. E il Ticino incasserà più tasse che verranno utilizzate per finanziare programmi di rilancio occupazionale a beneficio dei residenti. Inoltre c’è sempre in sospeso l’ecotassa per i frontalieri i quali inquinano e intasano le strade, causando costi e perdita di qualità di vita dei residenti.
Poi bisogna far giocare la burocrazia per ostacolare l’invasione. A questo proposito basta prendere esempio dall’Italia. Prima (e semplice) priorità: abolire immediatamente l’assurda possibilità, conferita ai padroncini italiani, di poter lavorare in Svizzera tramite semplice notifica. Ma stiamo scherzando? Questa deleteria agevolazione va sostituita con una lunga trafila burocratica in cui l’artigiano o ditta straniera, prima di ottenere il nulla osta, deve dimostrare di essere in regola con gli stipendi, il versamento degli oneri sociali e fiscali, e così via. Applichiamo questo metodo, e vedremo se il numero delle notifiche di lavoro temporaneo non diminuirà.
L’ente pubblico, poi, deve non solo evitare l’assunzione di frontalieri se non in casi estremi (dovrebbe essere scontato, ma…) ma deve anche privilegiare, nell’assegnazione di mandati pubblici, le ditte che assumono residenti. In sostanza, l’avere molti dipendenti frontalieri deve portare ad una perdita di punti nelle valutazioni nell’ambito dei concorsi pubblici.
E perché non istituire un marchio, un “label” che premi le aziende con pochi frontalieri?
Questi sono solo alcuni spunti, se ne potrebbero trovare anche parecchi altri… l’importante è cominciare a concretizzare. Perché a Ginevra si muovono, malgrado abbiano, in proporzione, meno frontalieri di noi (ed oltretutto un certo numero di frontalieri sono in realtà ginevrini trasferitisi oltreconfine). Noi invece…
Lorenzo Quadri