Sangue a Brissago: come previsto, c’è chi tenta di voltare le carte in tavola
Appena una settimana fa a Brissago, in un edificio che alloggia asilanti, si è verificato un grave fatto di sangue. Una lite ha reso necessario l’intervento della polizia cantonale. Un agente arrivato sul posto, accompagnato da due richiedenti l’asilo, è stato aggredito da un terzo asilante, un cittadino dello Sri Lanka, armato di due (!) coltelli. Per difendere se stesso e gli altri due uomini, l’agente ha dovuto aprire il fuoco sull’aggressore, che è morto poco dopo.
Chi sfrutta l’occasione
Nei confronti del poliziotto, che di certo non si trova a vivere una situazione facile, sono giunti vari messaggi di solidarietà. Compresa quella del comandante della Cantonale Matteo Cocchi e del direttore del Dipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi. Per fortuna. Perché – come c’era da attendersi – qualcuno (i soliti noti) ha voluto mettere in discussione l’operato dell’agente. Sfruttando, oltretutto, il fatto che l’aggressore rimasto ucciso fosse un sedicente rifugiato (si spieghi infatti da quale guerra sarebbe in fuga un migrante dello Sri Lanka). E quindi vai con gli autoerotismi cerebrali sulla “proporzionalità dell’intervento”. Vai col “morto di polizia”, come titolava il Caffè della Peppina a tutta prima pagina. Vai con le censure politikamente korrette ai beceri razzisti che hanno osato esprimere solidarietà al poliziotto “senza sapere esattamente come sono andate le cose”.
Obiettivo dell’esercizio: sdoganare la teoria della polizia razzista di un Cantone razzista che apre il fuoco “in scioltezza” su un asilante, proprio perché è un asilante.
Teorie patetiche
Queste tesi sono patetiche. Quello che si sa dei fatti di Brissago basta abbondantemente per schierarsi dalla parte del poliziotto. L’aggressore si è lanciato su di lui e sui due uomini che lo accompagnavano armato non di uno, ma di due coltelli. Cosa avrebbe dovuto fare l’agente, lasciare che lo srilankese accoltellasse tutti e tre? Magari ai soliti moralisti a senso unico andrebbe ricordato che il poliziotto ha sparato per proteggere, oltre a se stesso, altri due uomini. Pure loro, guarda caso, richiedenti l’asilo. Se l’agente non avesse reagito prontamente, è fin troppo facile prevedere cosa avrebbero strillato i multikulti: le forze dell’ordine stanno a guardare mentre due asilanti vengono accoltellati!
Obbligo di non difendersi?
Il diritto a respingere un’aggressione è un diritto naturale ed è anche garantito dalla legge (articoli 15 e 16 del Codice penale svizzero). Il buonismo-coglionismo-garantismo imperante tenta però di imporre un obbligo morale di non difendersi. L’aggredito ha paura di farlo, perché sa bene che poi rischia di finire lui sul banco degli imputati, accusato di eccesso di legittima difesa. E sa altrettanto bene che in questo paese i criminali godono della massima tutela. A partire dagli avvocati pagati dal solito sfigato contribuente: il Cantone spende ogni anno una paccata di milioni per la difesa d’ufficio di delinquenti stranieri.
Regalo ai criminali
Poiché secondo i buonisti-coglionisti la legittima difesa non esiste dal momento che ogni forma di difesa è illegittima o comunque immorale, allora rendiamoci del tutto inermi. Facciamoci accoltellare, sparare, eccetera, senza reagire. Oltretutto, coltivando ed imponendo “de facto” questo tipo di mentalità, si fa l’ennesimo regalo ai delinquenti; come se non gliene avessimo già fatti in abbondanza. Deleghiamo in tutto e per tutto la nostra sicurezza alla polizia. Come se quest’ultima fosse onnipresente ed onnisciente. Come se ogni cittadino fosse accompagnato dalla culla alla tomba da un bodyguard. Magari qualcuno dovrebbe ricordarsi che la vittima di un’aggressione non di rado si trova da sola davanti al suo assalitore. La polizia non si materializza d’incanto al suo fianco per difenderla. Da sola deve decidere cosa fare. E deve deciderlo in un tempo infinitesimale. La polizia arriva semmai a crimine ormai commesso, per tentare di assicurare alla giustizia gli autori. Non prima.
Mettere in dubbio che un agente – o chiunque altro – sia legittimato a sparare ad un uomo che lo aggredisce armato di due coltelli significa negare il diritto a difendersi. Sfruttare il fatto che l’aggressore fosse un asilante per accusare più o meno velatamente di razzismo la polizia – e di conseguenza l’odiato leghista a capo del Dipartimento delle istituzioni – è di uno squallore che sconfina nel patetico.
Il CdS cade nel trappolone
Peccato però che lo stesso Consiglio di Stato cada poi a corpo morto nel trappolone del pensiero unico buonista-coglionista. Perché il messaggio con cui propone di respingere l’iniziativa popolare “Le vittime di aggressioni non devono pagare i costi di una legittima difesa” è un’autentica ciofeca “mainstream”. Una sfilza di banalità politikamente korrette il cui livello è sotto il rasoterra. Ma su questo avremo modo di tornare nelle prossime settimane.
Lorenzo Quadri