L’allarme lanciato dal Municipio di Lugano e dal capodicastero polizia Michele Bertini accende i riflettori su una realtà gravida di conseguenze

200 denuncie in nove anni sono sicuramente tante. Eppure la cifra è questa. A sporgerle sono stati gli agenti della polizia comunale di Lugano, che si trovano confrontati con situazioni sempre più difficili nell’esercizio della loro professione.

La lettura dei rapporti che stanno dietro a queste denuncie dà solo una pallida idea delle provocazioni cui sono sottoposti gli agenti  sul lavoro. Insulti, dileggi, ma anche minacce pesanti: ce n’è per tutti i gusti. Spesso ad opera – per la serie: ma tu guarda i casi della vita – di bellimbusti “non patrizi di Corticiasca”. I quali, alla minima replica dell’agente a provocazioni che farebbero perdere le staffe a chiunque, tirano prontamente fuori la scusa del razzismo: evidentemente hanno imparato la lezione.

Dalla parte dei malfattori?
In nome del buonismo politikamente korretto, la giustizia è sempre più sbilanciata dalla parte del delinquente, specie se straniero: non si deve in alcun caso dare adito al benché minimo sospetto di xenofobia (non sia mai, piuttosto il colera!). Mentre il normale cittadino viene criminalizzato. E, ciò che costituisce una deriva preoccupante, chi è chiamato a far rispettare la legge si sente sempre meno protetto dall’autorità: quella stessa autorità di cui, paradossalmente, lui stesso è emanazione.
Da qui lo scritto del municipio di Lugano al Ministero pubblico. La richiesta dell’esecutivo cittadino è che gli incarti finiti nel cassetto, relativi a denuncie da parte di agenti di polizia, vengano finalmente trattati.

Giustizia a due velocità
Il capodicastero polizia Michele Bertini ha lanciato l’allarme: si sta creando una giustizia a due velocità.

E’ giusto che, quando un poliziotto trascende, venga sanzionato e che la magistratura proceda spedita. Non può però succedere che, quando è un agente di polizia a denunciare un reato nei suoi confronti, trascorrano anche sei anni prima che si compia un qualche passo istruttorio. Invece succede anche questo. Così, però, la giustizia si trasforma in una farsa. Con conseguenze molto pericolose. Da un lato quello di generare un sentimento di impunità nei confronti del malfattore. Che, in questo modo, diventa sempre più sfrontato. Emblematico il caso degli asilanti spacciatori. L’ agente ne ferma uno e dopo un paio d’ore se lo ritrova di nuovo davanti, libero come l’aria, a sbeffeggiarlo e ad insultarlo. Poi, nei rari casi in cui qualcuno di questi signori, dopo l’ennesima provocazione, si prende un cazzotto (non giustificato, ovviamente; ma anche chi indossa un’uniforme può perdere le staffe) tutti a strillare al razzismo, ad invocare punizioni esemplari, a fare di ogni erba un fascio e a montare la panna sul mito (?), molto politikamente korretto, del “poliziotto cattivo”. Una vera goduria per orecchie $inistro-radikal-chic!

Derive pericolose
La giustizia, e lo dice il nome, deve essere equa. Non è quindi tollerabile che l’agente che presenta una denuncia debba mettere in conto che questa finirà in un cassetto per uscirne, nella migliore delle ipotesi, dopo anni. E nel frattempo il colpevole è finito chissà dove.
Le conseguenze di queste derive sono molto pericolose. Da un lato come detto si alimenta il sentimento d’impunità del malfattore. Dall’altro si sfiduciano gli agenti. I quali, non sentendosi tutelati, saranno sempre più esposti alla tentazione di limitare al minimo gli interventi, specie quelli scomodi, in considerazione del rischio di passare sul banco degli imputati. Ad andarne di mezzo è la sicurezza del cittadino.

Magistratura oberata?
Le 200 denuncie in 9 anni, è bene sottolinearlo, sono una cifra solo indicativa. Consapevoli che il loro lavoro li espone a maggiori rischi, gli agenti rinunciano a denunciare reati di poco conto. Se si arriva a coinvolgere il Ministero pubblico, vuol dire che è successo qualcosa di grave.

Ad allarmare è dunque la latitanza della Magistratura. E di certo non perché oberata dal lavoro, come dimostra la rapidità e la minuzia con cui sono sempre state affrontate le denunce strumentali nei confronti di esponenti leghisti per reati d’opinione, praticamente tutte sfociate in bolle di sapone. Se poi si pensa che in Via Pretorio si trova il tempo di indagare sull’impressum del Mattino su cui figurava ancora il Nano malgrado fosse scomparso da due settimane, è evidente che qualsiasi storiella sul Ministero pubblico operato dal lavoro è nient’altro che una barzelletta.

Se dunque alle denuncie degli agenti non si dà seguito in tempi ragionevoli è per precise scelte di priorità, che sembrano dare la precedenza a chi infrange la legge piuttosto che a chi la deve far rispettare. E’ lo stesso principio garantista che porta a discriminare i cittadini residenti nei confronti degli immigrati. La musica deve cambiare: una criminalità, spesso importata, sempre più aggressiva e sfrontata non si combatte demotivando e martellando i tutori dell’ordine; e nemmeno criminalizzando i comuni cittadini.
Lorenzo Quadri