Assembramenti alla Foce: inutile arrampicarsi sui vetri alla ricerca di giustificazioni

Ticino terra di assembramenti. Quanto accaduto lo scorso fine settimana alla foce del Cassarate a Lugano ha suscitato polemiche ed indignazione. Centinaia di giovani si sono riuniti senza rispettare le misure di sicurezza ed hanno reagito con violenza all’arrivo della polizia. L’assembramento non era casuale (come avrebbe potuto esserlo?) bensì organizzato via social. I giovani provenivano da tutto il Ticino.

Clima elettorale

Non è certo la prima volta che si verificano maxi-ammucchiate serali, ora qui, ora là. E non è certo un problema solo luganese. Nemmeno solo ticinese: sono scene che si vedono un po’ ovunque. Però in questo sfigatissimo Cantone, complice il clima elettorale, i politicanti si sentono in dovere di invocare roboanti gruppi di lavoro (?) e non meglio precisate “misure”; tanto per mostrare al popolazzo che si sta facendo. Il risultato, se risultato ci sarà, sarà al massimo quello di inventarsi qualche intervento palliativo dall’unico effetto: costare.

Spendersi per le riaperture

E’ ovvio che la situazione contingente è frutto del lockdown eterno decretato dal “ministro dei flop” kompagno Berset (P$) e dagli inetti burocrati dell’UFSP,  che hanno scandalosamente FALLITO la campagna di vaccinazione in Svizzera. In Israele, dove invece la campagna di vaccinazione è riuscita alla grande, i ritrovi pubblici riaprono e si torna alla vita.

Chiaramente i giovani soffrono, come tutti del resto, le pesanti limitazioni alla libertà di aggregazione. Bar, ristoranti, cinema, palestre  e discoteche sono chiusi, gli eventi cancellati. Ma questa situazione è contingente e destinata a terminare. Invece di inventarsi gruppi di lavoro farlocchi sarebbe dunque molto più utile spendersi per un rapido ritorno alla normalità e sostenere le RIAPERTURE.

Serve a poco tenere chiuse strutture che applicano piani di protezione se il risultato è che la gente si ammucchia senza criterio sul suolo pubblico!

Tutto senza sforzo?

Che ci siano problemi di disagio giovanile non lo si scopre adesso. Lo sfascio del mercato del lavoro ticinese, provocato dalla devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia, porta una grossa responsabilità in questo.

Nemmeno bisogna fare di ogni erba un fascio: la grande maggioranza dei giovani ticinesi non era alla foce sabato scorso.

Il “caso foce” rende semmai evidente ciò che già si sapeva: se le famiglie, la scuola, la società in generale smettono di insegnare la disciplina ed il rispetto delle regole, il risultato è questo. Il fatto che i partiti del cosiddetto “centro” PLR-PPD sostengano gli autogestiti la dice lunga sull’andazzo.

Se la scuola ro$$a insegna che tutto, a partire dalla promozione, si ottiene in automatico e senza sforzo, mai i giovani impareranno a fare dei sacrifici come quelli che vengono ora richiesti. Tanto più che, nella situazione attuale, i giovani non sono nemmeno quelli messi peggio. Pensiamo a chi vede distrutto il lavoro di una vita. O agli anziani che rischiano di perdere i pochi anni di vita restanti.

Incontrarsi in 800?

Il disagio e la fatica dei giovani sono comprensibili. La mancanza di resistenza nei confronti di questo disagio è un problema di società che non si risolve con un gruppo di lavoro. La trasformazione del disagio in atti di teppismo non è scusabile né tollerabile. I giovani non vogliono stare in casa? Niente di strano. Ma uscire non è proibito. E per incontrarsi non c’è alcun bisogno di assembrarsi in 800.

Poiché uscire di casa e vedere gli amici nel rispetto delle norme sanitarie è possibile, ed infatti la stragrande maggioranza dei giovani lo fa, non c’è scusante che tenga per gli assembramenti scriteriati. Ancora meno per le loro derive violente.

Il miglior rimedio

Se vogliono fare cosa utile per i giovani, i politicanti dovrebbero preoccuparsi di dare loro delle prospettive. Non serve essere dei grandi psicologi per sapere che il miglior rimedio al disagio è il lavoro.

Chi ha provocato l’invasione da sud devastando il mercato del lavoro ticinese, chi ha dunque privato i giovani di prospettive professionali e quindi di prospettive tout-court, farebbe bene a recitare il mea culpa invece di arrampicarsi sui vetri alla ricerca di giustificazioni per ciò che giustificabile non è.

Lorenzo Quadri