A furia di dai e dai qualcosa si muove. Il prossimo 25 marzo la Commissione petizioni e ricorsi del Gran Consiglio sottoscriverà i rapporti sull’iniziativa “Vietare la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici ed aperti al pubblico”, meglio nota come iniziativa antiburqa.
I rapporti annunciati sono due: uno a difesa del controprogetto del Consiglio di Stato, l’altro a sostegno dell’iniziativa. Per ora – ma vedremo se il 25 marzo sarà ancora così – nessun kompagno politikamente korretto ha annunciato rapporti contrari sia ad iniziativa che a controprogetto. Probabilmente è però solo questione di tempo.
In apparenza, dunque, tutti o quasi sarebbero d’accordo sul divieto. Il Consiglio di Stato nel suo controprogetto indiretto propone tuttavia di inserirlo in una legge. L’iniziativa popolare, invece, è di rango costituzionale: chiede in altre parole l’iscrizione del divieto nella Costituzione.
Fa ovviamente piacere che il Consiglio di Stato condivida, almeno a grandi linee, l’obiettivo del divieto, ma il comitato promotore, presieduto dal “Guastafeste” Giorgio Ghiringhelli, non può accettare che esso venga inserito solo nella legge. Se infatti è stata lanciata un’iniziativa costituzionale, con la conseguente necessità di raccogliere 10mila firme invece di 7000, non è per diletto, ma perché si vuole dare al divieto un significato particolare. Significato che chi propone il “semplice” inserimento nella legge dimostra, per atti concludenti, di misconoscere.
La sicurezza è sicuramente un argomento importante a favore del divieto perché una persona nascosta dal burqa può fare di tutto e di più (ad esempio sfregiarne un’altra con l’acido come di recente accaduto a Londra). Del burqa potrebbe, è evidente, approfittare anche un delinquente per camuffare la propria identità. Tuttavia la battaglia contro il burqa è una battaglia di civiltà e non solo di ordine pubblico. Per questo motivo, come ha scritto il presidente del Comitato promotore Ghiringhelli alla Commissione delle petizioni del Gran Consiglio, l’apposita norma deve venire inserita nella Costituzione.
Si tratta in sostanza di riaffermare che il burqa è incompatibile con il nostro Stato di diritto, con il principio costituzionale della parità tra uomo e donna, e più in generale con la nostra società occidentale.
Nella nostra società, infatti, l’interlocutore lo si guarda in faccia. Non si interloquisce una palandrana. Le donne si fanno riconoscere; non sono nascoste da un lenzuolo che le copre da cima a fondo, cancellandone l’identità. La nostra società non può accettare che una donna venga costretta a sparire sotto metrature di stoffa. Tanto più che il burqa non è un’espressione religiosa ma sociale.
Ma se anche una donna decidesse per motivi religiosi (malgrado come detto nessun testo religioso imponga il burqa) di volersi volontariamente ricoprire da capo a piedi, ebbene questo tipo di sedicente espressione religiosa sarebbe comunque inaccettabile per la nostra società. Anche se volontaria.
I diritti costituzionali, come la libertà di religione, non sono protetti in modo assoluto. Possono venire limitati a determinate condizioni (base legale, interesse pubblico, proporzionalità). L’obbligo di tutelare il nostro modello di società deve avere, e su questo non si può transigere, la priorità su espressioni religiose aberranti; specie se poi, come nel caso concreto, nemmeno sono espressioni religiose.
Si tratta di affermare in modo deciso la nostra società occidentale e liberale, opposta ad un modello (?) $inistrorso, e “completamente fallito” (parola di Merkel e Cameron) di multikulturalità. Multikulturalità che, in nome alla bufala del politikamente korretto, vorrebbe permettere a qualsiasi migrante trasferitosi in Svizzera di vivere esattamente allo stesso modo, con le stesse regole, di come farebbe nel suo paese d’origine. Ma chi vuole vivere esattamente come nel suo paese d’origine, e non accetta che le cose da noi funzionino in modo diverso, non deve lasciare il paese d’origine e non deve trasferirsi in Svizzera.
Quindi il burqa è sì un problema di sicurezza ma, soprattutto, è un problema di civiltà. Per questo il suo posto è nella Costituzione, non nella legge. Assieme ai diritti fondamentali.
Senza contare che una legge può essere abrogata, modificata, diluita dal parlamento. Sicché, conoscendo i nostri polli e le loro devianze politikamente korrette, è chiaro che non ci si può assolutamente fidare.
Lorenzo Quadri