Spesa proibita per gli “over 65”: è a fin di bene, ma le buone intenzioni non bastano

 Il divieto di fare la spesa emesso dal Consiglio di Stato per gli „over 65“ non cessa di far discutere. Tra le persone direttamente toccate, c’è chi lo prende con filosofia ma anche chi s’inkazza di brutto.

Il divieto è sicuramente stato pensato con buone intenzioni. Visto che gli anziani, se si ammalano del maledetto virus, sono maggiormente  a rischio di complicazioni con esiti anche letali, più stanno in casa (quindi: meno contatti hanno), meno rischiano il contagio e quindi meglio è.

E’ pure vero che gli anziani spesso non fanno la spesa grossa una volta alla settimana, ma escono quotidianamente a comprare qualcosa: fa parte della loro routine giornaliera. E’ un modo per impiegare il tempo e per socializzare che mai è stato ritenuto deplorevole (anzi). Col maledetto virus il mondo ha cominciato a funzionare al contrario, ed ecco che queste abitudini vengono bollate come delinquenziali.

Di buone intenzioni…

Il divieto di spesa per gli “over 65”, ulteriormente prolungato, nasce senz’altro animato da buone intenzioni. Ma, come diceva qualcuno, di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno.

  • Tanto per cominciare, il divieto è illegale. Questo è un dato di fatto. La sua valenza può essere al massimo quella di un’esortazione. I negozi non sono tenuti ad applicarlo. In caso di contenzioso giudiziario, un anziano allontanato da un negozio la spunterebbe senza problemi.
  • Il limite di 65 anni è del tutto arbitrario e non ha alcun fondamento scientifico. Il virus non chiede la data nascita ai suoi “ospiti”. Se l’obiettivo è proteggere le persone a rischio, allora il divieto di spesa andrebbe esteso anche a cardiopatici, diabetici, ecc. ecc. La discriminazione in base all’età e senza uno straccio di fondamento scientifico rientra nel campo del vituperato “razzismo”.
  • Il divieto è un unicum ticinese. Non esiste da nessun’altra parte del mondo. Sarebbe interessante sapere se dove non è applicato (ad esempio il Canton Vaud, che è il secondo messo peggio dopo il Ticino) i contagi ed i decessi di persone in età AVS sono maggiori che da noi. C’è il vago sospetto che non ci sia alcuna differenza. E quindi che il divieto non serva.
  • Ci sono medici non solo over 65, ma over 75, che curano pazienti malati di coronavirus. Effettuano tamponi e tutto quel che serve. Però questi medici “senior” che, invece di andare “in letargo” (cit. Cocchi), svolgono eroicamente la loro professione, assumendosene i rischi, vengono umiliati dallo Stato con la proibizione di comprarsi un lunghino alla Migros.
  • I ricercatori dell’Università di Bonn hanno svolto uno studio su un campione della popolazione del distretto di Heinsberg, il focolaio tedesco con il maggior numero di contagi. Ne riferisce il quotidiano italiano Il Giornale sull’edizione di venerdì. Il risultato è alquanto interessante: 1) nessuno si è contagiato facendo la spesa o su un autobus; 2) i focolai maggiori sono sempre scoppiati dopo i grandi eventi (vedi Rabadan?). La conclusione del Prof. Hendrik Streeck, epidemiologo dell’università di Bonn, è la seguente: “Credo che ristoranti, negozi, supermercati e così via non rappresentino rischi di infezione”. Ovviamente occorre rispettare le regole di distanza sociale. A maggior ragione, dunque, traballa il divieto di spesa per gli over 65, e a tal proposito lo studioso tedesco conclude: “E’ inaccettabile tenere segregati gli anziani per tutta la durata della pandemia. Le persone anziane hanno un bisogno estremo di contatti sociali”.

Aperte le scommesse

Sulla durata del divieto di spesa per gli “anziani” sono aperte le scommesse. C’è da attendersi che prossimamente verrà sostituito con una misura più ragionevole. Ad esempio l’introduzione di fasce orarie destinate agli over 65. Sarebbe sempre una discriminazione, ma meno pesante.

Una cosa, comunque, è inaccettabile: quegli individui che inveiscono – nel mondo reale o su cloache mediatiche – contro anziani rei di essere usciti di casa, e magari di essere andati a fare la spesa malgrado il presunto divieto. E che magari pubblicano pure le foto dei “colpevoli” sui social. Chi lo fa si vergogni.

Che per colpa del maledetto virus l’isteria a briglie sciolte la faccia da padrona è un triste dato di fatto. Ma c’è un limite a tutto.

Lorenzo Quadri