I simboli dell’islamismo e del rifiuto dell’integrazione non trovare spazio in Svizzera
E’ notizia recente che il Consiglio di Stato francese (niente a che vedere con il nostro governicchio: si tratta infatti della massima autorità giudiziaria amministrativa) ha confermato il divieto di burqini.
In Francia il “burqa da bagno” è stato messo fuori legge l’anno scorso. Il municipio di Grenoble aveva tuttavia deciso di autorizzare comunque l’obbrobriosa ed anti-igienica tenuta nelle proprie piscine. Questo perché il sindaco $inistrato “islamo-gauchiste” intendeva farsi campagna elettorale tra gli islamisti. Ma gli è andata buca: è infatti stato sconfessato in tutti i gradi di giudizio, fino all’ultimo: il Consiglio di Stato appunto. Il quale ha stabilito che il burqini lede il principio della neutralità religiosa nei servizi pubblici.
Ben oltre la religione
In realtà il burqini, un po’ come il burqa, va ben al di là dell’espressione religiosa. Si tratta infatti di un simbolo politico: di comunitarismo, di rifiuto dell’integrazione, di sottomissione della donna, di ineguaglianza tra i sessi. Eppure le femministe ro$$overdi, immigrazioniste e multikulti non emettono un cip. Forse sono troppo impegnate nelle battaglie per la lingua “gender” e per le parole con gli asterischi. Addirittura, le femministe in questione difendono il velo integrale (ma sarebbe meglio parlare di straccio integrale) blaterando di “simbolo di libertà”.
Il bello è che, per restare agli abbigliamenti da bagno, le femministe immigrazioniste pro-burqini sono quelle checontemporaneamente sostengono il diritto al topless nei lidi pubblici. Geniale: così le bagnanti in topless vengono poi molestate (o peggio) dai migranti in arrivo da “altre culture”. I quali sono razzisti, sessisti e misogini. Chi ha fatto arrivare questi migranti che “non rispettano le donne” (cit. Sommaruga)? Ma le femministe, ovviamente!
“Non problema”?
La sordida iniziativa elettorale pro-burqini del $indaco di Grenoble si è rivelata un boomerang. Il divieto di burqini è infatti stato convalidato dalla massima istanza della giurisdizione amministrativa francese. Dopo questa “benedizione”, anche la Svizzera dovrebbe emanare una norma analoga. La partitocrazia xenofila e la stampa di regime obietterebbero (come al solito) che si tratta di un “non problema”, poiché nelle nostre piscine pubbliche di tali scafandri non se ne vedono. Non se ne vedonoper ora.
Punto primo: l’avanzata dell’islam radicale e dei suoi simboli è ben lungi dall’essere un non-problema. A contrario: è un pericolo per le fondamenta del nostro Stato di diritto. Fa ridere i polli che i manutengoli degli islamisti siano poi gli stessi che si sciacquano la bocca con i diritti umani. Forse qualcuno si immagina che agli islamisti gliene freghi qualcosa dei diritti umani?
Punto secondo: se, come dice la casta, il burqini è un non problema, che difficoltà c’è ad abolirlo? A chi mai può dare fastidio un divieto che non tocca nessuno?
Inettitudine bernese
Lo scorso 16 giugno il Consiglio nazionale è riuscito ad asfaltare, con ben 132 voti contrari, 48 favorevoli ed 8 astensioni, una mozione che chiedeva il “divieto di indossare il velo islamico agli sportelli dell’Amministrazione federale e delle imprese con partecipazione maggioritaria della Confederazione”. Questo perché “il hijab e tutte le altre forme di velo islamico non costituiscono né un semplice indumento, né un simbolo puramente religioso, ma in primo luogo un segnale politico”. I soldatini della partitocrazia, imbesuiti dal multikulti, continuano però a non rendersene conto. Inutile dire che sarebbero i primi a strillare – soprattutto a $inistra – se una persona che lavora presso uno sportello statale si presentasse al pubblico sfoggiando un crocifisso di 40 centimetri. Blatererebbero che un gesto di questo tipo vìola il principio della laicità dello Stato e manca di rispetto aimigranti in arrivo da “altre kulture”. Chiaro: secondo questi politichetti, solo le culture e le religioni degli altri meritano rispetto. Le nostre no. Perché noi siamo i bianchi cattivi. Quelliche devono sentirsi in colpa ed autofustigarsi per tutto. Specie se hanno la disgrazia di essere maschi non gender fluid.
Razzismo d’importazione
E’ recente la notizia della condanna dell’imam predicatore d’odio di Bienne, che ha pure abusato di prestazioni sociali. Burqa, burqini e tendoni assortiti sono voluti da questi predicatori. E noi dovremmo dare spazio?
L’imam di Bienne è stato condannato per truffa e per discriminazione razziale. Si tratta di un esempio plateale di razzismo d’importazione. Ma naturalmente l’inutilissima commissione federale contro il razzismo, presieduta da un’ex consigliera nazionala radikalchic, non ha nulla da dire al proposito. Nemmeno la stampa di regime, che si limita a citare la questione en passant. Se un predicatore cristiano avesse incitato all’odio conto i musulmani, i giornalai mainstream avrebbero fatto una cagnara che la metà basta.
Il divieto di minareti ed il divieto di burqa, votati dal popolo,indicano la strada da seguire. L’islam politico non deve avere diritto di cittadinanza in Svizzera.
Lorenzo Quadri