Cassa pensioni: una categoria privilegiata dovrebbe vergognarsi di scendere in piazza
Mercoledì mattina i docenti hanno scioperato a difesa dei propri privilegi pensionistici. Questa iniziativa (modalità tipiche da Vicina Penisola) un risultato l’ha raggiunto: ci ha ancora più convinti della necessità di un referendum nel caso in cui la partitocrazia intendesse destinare altri soldi del contribuente al risanamento della Cassa pensioni dei dipendenti dello Stato (IPCT). Che si tratti di compensare la doverosa riduzione del tasso di conversione dal 6.18% al 5% (che è quello applicato da tutte le altre casse pensioni) o di altre misure, poco importa. Il mezzo miliardo (!) deciso nel 2012 più i 700 milioni di prestito accordati nell’aprile 2022 bastano e avanzano, come ha sottolineato il gruppo Lega in Gran Consiglio nel suo comunicato (vedi a pag. 27). I soldi pubblici vanno utilizzati a vantaggio dei cittadini: deduzione fiscale integrale dei premi di cassa malati, Tredicesima AVS, sgravi al ceto medio… Non certo per finanziare privilegi di casta!
L’ultimo incontro tra sindacati e CdS si terrà il 30 maggio. Il piano del governicchio prevede un contributo all’IPCT di 12 milioni all’anno, i sindacati ne vorrebbero addirittura di più. Cosa, cosa? Altro che 12 milioni: ZERO!
Violati i diritti degli scolari
Con lo sciopero dei docenti si è passato il limite. Già per la scelta di manifestare il mercoledì mattina, imponendo alle famiglie di tenere a casa i figli. Forse qualcuno si è dimenticato che, fino alle medie comprese, la scuola è obbligatoria. Andarci è un dovere, ma anche un diritto degli alunni. Questo diritto è stato grossolanamente violato dagli scioperanti, senza uno straccio di motivo valido. I docenti avrebbero benissimo potuto manifestare nel fine settimana o durante la sterminata serie di giorni di vacanza di cui godono.
C’è poi l’aspetto dell’indottrinamento pro-saccoccia degli allievi. Ma come, la politica non deve rimanere fuori dalla scuola? Oppure, se si tratta di politica di $inistra, la regola non vale?
Lascia infine basiti il silenzio assordante dei vertici politici del DECS sullo sciopero.
C’è solo da tagliare
E’ incredibile che dei privilegiati, con svariati mesi di vacanza all’anno, il posto di lavoro garantito a vita, stipendi di oltre i 100mila franchi all’anno, scendano in piazza con la pretesa che i contribuenti gli finanzino un tasso di conversione pensionistico fuori dal mondo.
E’ forse il caso di ricordare che lo stipendio mediano nell’amministrazione cantonale, gonfiata come una rana, è di 100mila franchi all’anno in continuo aumento. Nel settore privato è di 66mila. Ciliegina sulla torta: gli statali, docenti inclusi, hanno ricevuto il carovita del 2.5%, mentre tanti lavoratori del privato… un tubo.
Chi fa fatica ad arrivare a fine del mese, chi non sa se domani avrà ancora un impiego, chi ha quattro settimane di vacanza all’anno, chi ha già dovuto fare sacrifici per risanare la propria, di cassa pensioni, dovrebbe compensare, con i soldi delle sue imposte, la riduzione – ossia la normalizzazione – del tasso di conversione IPCT? Sembra una barzelletta. Bisognerebbe aver vergogna a scendere in piazza con rivendicazioni del genere. Non c’è proprio niente da compensare. Qui c’è solo da tagliare, ma con la motosega, i costi spropositati di un’amministrazione cantonale finita fuori controllo!
Effetto boomerang
Se poi i docenti scioperanti, con la loro iniziativa, credono di aver ottenuto simpatie popolari, hanno fatto male i calcoli. Il risultato ottenuto è quello esattamente contrario. Ossia, acqua al mulino del referendum che – ribadiamo per l’ennesima volta – è garantito.
Sui media, il $indakato VPOD targato P$ ha avuto la tolla di definire detto referendum “un sabotaggio”. Hai capito i tassaioli ro$$i? Difendere le tasche dei contribuenti che tirano la cinghia dall’assalto di una casta di privilegiati sarebbe un sabotaggio. Com’era già il motto dei kompagni? “Senza privilegi”? Ah già, ma ormai il P$ si è trasformato nel partito degli statali e degli stranieri…
Non è colpa dei contribuenti
Lo sappiamo anche noi: se la cassa pensioni del Cantone si trova nella palta, la colpa è non è dei dipendenti dello Stato. La colpa è del triciclo PLR-PPD-P$ che non ha voluto procedere con le riforme necessaria quando era tempo, per paura di perdere i voti del funzionariato. In cima alla lista dei responsabili si trova il PLR, che da tempo immemore dirige il DFE. Ma, se la colpa non è degli statali, ancora meno lo è degli altri lavoratori. La grande maggioranza dei quali è messa assai peggio, sotto ogni punto di vista, dei funzionari cantonali e dei docenti!
Morale della favola: il risanamento dell’IPCT lo finanzieranno gli affiliati. E toccare certe pensioni d’oro e di platino non è un tabù.
E’ chiaro che occorre procedere in modo scalare: chi guadagna meno, contribuirà con poco o niente. Chi guadagna tanto, dovrà metterci il grosso. E, se non gli sta bene, può sempre cercarsi un altro lavoro nel privato. Oppure chiedere un contributo al $indakato UNIA, che ha un patrimonio di un miliardo.
Ridimensionare l’IPCT
Un’ultima considerazione. Se il Cantone vuole avere delle possibilità di risanare la sua cassa pensioni, deve cominciare col ridurre il numero degli affiliati, e con esso il buco. In altre parole: gli enti parastatali o i Comuni costretti ad iscrivere i propri dipendenti all’IPCT, devono avere la possibilità di spostarli in un altro istituto previdenziale a condizioni sostenibili. Per la cassa pensioni dello Stato il tempo delle manie napoleoniche è finito.
Lorenzo Quadri