Poi ci chiediamo come mai la Svizzera viene smontata un pezzo dopo l’altro

 

Chissà come mai, c’è il sospetto che la popolazione, se potesse votare, deciderebbe ben diversamente

Come c’era da aspettarsi, la maggioranza del Consiglio  nazionale (40 voti contro 127 e due astenuti) ha respinto la mozione del sottoscritto che chiedeva che i Consiglieri federali, parlamentari federali ed i membri del corpo diplomatico avessero un solo passaporto.

La partitocrazia quindi conferma non solo di essere a favore dei doppi passaporti, ma di volerli anche nella politica federale. Addirittura in Consiglio federale!

Sicché secondo il triciclo PLR-PPD-P$, ma anche secondo qualche esponente dell’UDC, un domani andrebbe bene anche un Consigliere federale – presidente della Confederazione compreso –  con passaporto multiplo. O un ministro degli esteri binazionale che va a trattare con il paese di cui ha la nazionalità. Facile immaginare che credibilità possa avere un simile ministro degli esteri tra i suoi concittadini (quelli svizzeri).

E va anche bene, alla partitocrazia, che ci siano deputati federali con più passaporti che, per comodità, a seconda della situazione, tirano fuori quello straniero. Magari per avere sconti e facilitazioni.

Trionfa l’opportunismo

Il messaggio trasmesso con la (prevedibile) trombatura della mozione è lampante: non si permettano, i beceri populisti e razzisti, di chiedere a chi si naturalizza una scelta di campo in favore della Svizzera. Nemmeno se il neo-svizzero fa politica nelle istituzioni federali. Nemmeno se fa il Consigliere federale. Nemmeno se, come diplomatico, va a rappresentare il nostro paese all’estero. Trionfa l’opportunismo, con la benedizione del “triciclo”: non si molla il passaporto del paese d’origine. Semplicemente perché fa comodo tenerlo. Altro che invocare lacrimosi motivi affettivi. Non sia mai che si chieda di rinunciare ai privilegi materiali che derivano dall’avere più passaporti. Neo-svizzeri privilegiati rispetto agli svizzeri di nascita!

In regime di naturalizzazioni facili, e con all’orizzonte la prospettiva dell’arrivo di un partito islamista, c’è poco da stare allegri.

Proposta circoscritta

Chiedere che chi viene eletto nei gremi politici federali (!), se binazionale, rinunci al passaporto del paese d’origine, non è certo una richiesta talebana. E’, al contrario, assai circoscritta. Quasi minimalista. Se la grande maggioranza della partitocrazia non accetta nemmeno questo, vuol dire che la strada è spianata perché, tra qualche anno, si arrivi all’eleggibilità degli stranieri. Del resto, nella sua presa di posizione sulla mozione, il Consiglio federale lo suggerisce velatamente. Infatti argomenta che i diritti politici in Svizzera nel corso degli anni si sarebbero evoluti in senso “inclusivo”. Traduzione: devono entrare, devono restare, devono farsi mantenere, e devono anche votare tutti!

Poi ci chiediamo come mai…

Avanti così. Poi ci chiediamo come mai le specificità svizzere vengono smontate pezzo per pezzo. Come mai diventiamo sempre più uguali a tutti gli altri. Come mai perdiamo uno dopo l’altro tutti i nostri atout. Ovvio: se si mettono nei posti chiave politicanti naturalizzati (naturalizzazioni facili?) per i quali queste specificità non hanno alcun valore – in quanto considerano il paese d’origine la loro vera patria, mentre quella elvetica è solo una nazionalità di comodo – poi non ci si deve sorprendere.

Ricordiamo che l’Australia, anch’essa terra d’immigrazione, ha stabilito che parlamentari e ministri non possono essere bi- o plurinazionali. Senza tante storie. Prendere decisioni di questo tipo, dunque, “sa pò”.  E, chissà perché, c’è come il vago sospetto che, in una votazione popolare sul tema, il triciclo partitocratico – quindi l’élite spalancatrice di frontiere – verrebbe di nuovo asfaltato dai cittadini svizzeri.

Ma si vede che dall’altra parte del mondo, diversamente che da questa, le maggioranze politiche non sono ancora del tutto imbesuite dal politikamente korretto, dal multikulti, e soprattutto dalla madre di tutte le boiate: il mantra dell’ “immigrazione uguale ricchezza”.

Lorenzo Quadri