Il Consiglio nazionale deciderà nella prossima sessione sul premio di mercato
In principio fu Mururoa. Dopodiché la Svizzera, sotto la pressione del populismo di sinistra, decise di rinunciare all’energia atomica. Lo stesso hanno fatto i paesi europei attorno a noi. Da notare che l’uscita dal nucleare venne giustificata con motivi di presunta sicurezza. E sulla sicurezza, s’infervorano i promotori, non si transige. Peccato che si tratti della stessa area che ora vuole affossare il traforo di risanamento del Gottardo, in barba proprio alla sicurezza. Oltretutto, coincidenza vuole che in Svizzera, quando si decise l’uscita dal nucleare, fossero vicine anche le elezioni federali. Il momento ideale, dunque, per le pressioni populistiche che non hanno mancato di sortire il loro effetto. Qualche anno dopo, ossia nell’autunno del 2015, si dovette comunque correggere il tiro. La costruzione di nuove centrali atomiche resta proibita, si è però rinunciato a fissare una data di spegnimento per quelle attuali.

Sotto pressione
Si pone tuttavia un problema. Sul quantitativo totale di energia prodotta in Svizzera, il nucleare non è proprio una porzioncina irrilevante, infatti copre quasi il 40% della produzione. Per essere precisi, la quota nel 2014 era del 38%. Il 56% della produzione è idroelettrica, il termico copre il 4%, l’eolico l’1%, idem il fotovoltaico.

Come detto, la Svizzera non è certo l’unico paese ad aver deciso l’uscita dal nucleare. Altre nazioni a noi vicine dispongono però di svariate altre fonti – e non certo pulite: vedi il carbone ed il gas – in alternativa. Noi abbiamo “solo” l’idroelettrico. Che peraltro è una delle principali risorse del paese, per di più perfettamente rinnovabile. Eppure questa risorsa, che ieri era un fiore all’occhiello dell’economia elevetica, oggi si trova pesantemente sotto pressione. Questo in particolare a seguito delle sovvenzioni europee per le nuove energie rinnovabili (solare e eolico), che hanno fatto crollare i prezzi, col risultato che i costi di produzione dell’idroelettrico svizzero risultano troppo elevati in un mercato pesantemente taroccato. Conseguenza: grandi e storiche aziende in tutta la Svizzera si trovano in notevoli difficoltà, con molti posti di lavoro a rischio. Non si escludono fallimenti, neppure per le aziende “big” del settore. E nemmeno si esclude, se le cose dovessero mettersi male, la vendita di queste aziende ad operatori esteri (germanici e francesi in primis). Ci ritroveremmo quindi con la principale fonte energetica svizzera che finisce in mani straniere. Certamente non una prospettiva incoraggiante per il Paese.

Cantoni di montagna
Particolarmente interessati dalle difficoltà dell’idroelettrico sono i Cantoni di montagna come il nostro. Il motivo è ovvio: sono quelli che dispongono di più bacini idroelettrici, che si traducono in posti di lavoro, in genere nelle zone discoste.
Se il prezzo dell’idroelettrico svizzero è ormai scivolato fuori mercato, non è perché si sprechi o si lavori male, ma è perché le sovvenzioni miliardarie dell’UE (24 miliardi annui la sola Germania) hanno svaccato il mercato. L’energia del nuovo rinnovabile, già pagata dalla popolazione EU, arriva sul mercato a gratis; i certificati sul CO2, tenuti estremamente bassi dalla politica europea, favoriscono le vecchie centrali a lignite (le più inquinanti) germaniche; questa costellazione mette sotto torchio il rinnovabile idroelettrico elvetico e ticinese.

Il premio di mercato
Una delle nostre principali ricchezze è dunque minacciata. Il tema è da tempo all’ordine del giorno della politica federale, nell’ambito del famigerato pacchetto “energia 2050”. Nella prossima sessione primaverile, la palla passerà al Consiglio nazionale. La Camera del popolo avrà la possibilità di lanciare un salvagente alle centrali idroelettriche. Un salvagente che, come si immaginerà, consiste in un sostegno economico nella forma di un premio di mercato di al massimo un centesimo per kWh per impresa, a tempo determinato . A beneficiarne sarebbero le centrali elettriche svizzere con una produzione superiore ai 10 MW, quindi quelle grandi. Anche l’AET ne approfitterebbe. Per la durata del sistema di remunerazione, per l’immissione di elettricità nella rete saranno riscossi 0.2 cts/kWh, per un totale di 120 milioni all’anno. Una somma che non risolverà i problemi dell’idroelettrico svizzero… però aiuta. E aiuta soprattutto un vettore energetico che è rinnovabile a tutti gli effetti, proprio alle regioni montane e d’estrema importanza per i Cantoni alpini.
Si tratta di una forma di ingerenza statale nel mercato, decisa a livello federale. Può forse non piacere. Ma in gioco c’è una delle principali risorse ticinesi: e quindi il sostegno va dato.
Lorenzo Quadri