Tra imprenditori-foffa del Belpaese ed artigiani locali demoliti dalla concorrenza sleale

Ma tu guarda i casi della vita! Il Ticino è maglia nera svizzera nei fallimenti di aziende.

Nei primi nove mesi dell’anno a livello nazionale sono state avviate procedure fallimentari nei confronti di 3474 società, in calo del 3% rispetto allo stesso periodo del 2018. Per contro, in Ticino si assiste al fenomeno inverso: vale a dire ad un aumento dei fallimenti, che sono infatti cresciuti del 3%.

Quindi dalle nostre parti sempre più ditte chiudono i battenti.

La crescita dei “crack” in questo sfigatissimo Cantone è senz’altro dovuta a due fenomeni. E per entrambi possiamo ringraziare la devastante libera circolazione delle persone voluta dal triciclo PLR-PPD-P$$!

Primo fenomeno

Arrivo di ditte-foffa dalla vicina Penisola, gestite da furbetti dell’italico quartierino che hanno trovato alle nostre latitudini ul signur indurmentàa. Questi furbetti s’installano in Ticino, magari si cuccano pure degli incentivi statali (e nümm a pagum) e assumono solo – o prevalentemente – frontalieri.

Dopo un po’ di tempo cominciano a cumulare puff su puff: restano in arretrato con i pagamenti degli stipendi, degli oneri sociali, dei fornitori, delle imposte, eccetera eccetera. Ma nel frattempo i titolari continuano a riempirsi le tasche. Il che spesso e volentieri accade praticando un dumping che mette in ginocchio la concorrenza locale (chiaro che se non si pagano né dipendenti, né fornitori, né tasse, né oneri sociali, è facile abbassare i prezzi). Finché si arriva al deposito dei bilanci ed al crack. Con lavoratori, creditori  ed enti pubblici che rimangono “stuccati”.

Da manuale, nel settore dell’edilizia, il famoso caso Adria, con i due titolari, padre e figlio, che malgrado i disastri ed i buchi plurimilionari lasciati in Ticino, nel Belpaese si trastullavano tra ville ed auto di lusso.

Spesso e volentieri capita pure che gli stessi furbetti dell’italico quartierino, dopo essere falliti, riaprano una nuova attività in tempo di record. Magari a poche centinaia di metri di distanza da quella appena chiusa. Così tutto il gioco ricomincia. E ad andarci di mezzo sono i soliti ticinesotti. Ma la partitocrazia da anni ci ripete che “dobbiamo aprirci all’UE”…

A trasformare il Ticino in calamita per imprenditori-foffa della Vicina Penisola, ma guarda un po’, sono le politiche di promovimento economico (?) del DFE  targato PLR (presunto partito del buongoverno).

Secondo fenomeno

Grazie alla libera circolazione delle persone voluta dal triciclo euroturbo PLR-PPD-P$$  – quello che adesso, visti i risultati delle elezioni, correrà a sottoscrivere lo sconcio accordo quadro istituzionale per sottometterci ai balivi di Bruxelles – in Ticino è arrivata l’invasione non solo di frontalieri, ma anche di padroncini e distaccati. Nell’anno di disgrazia 2018, le notifiche sono state 27mila. Dieci anni fa erano la metà. Come ben sappiamo i padroncini se ne impipano delle nostre regole, lavorano in nero, e quindi possono praticare tariffe inarrivabili per chi vive e lavora qui. Logica conseguenza: tanti artigiani e piccole aziende ticinesi non sono in grado di reggere questa concorrenza sleale. Di conseguenza, chiudono baracca.

Dopo la fine poco gloriosa della LIA (Legge sulle imprese artigianali), cosa sta facendo il DFE targato PLR per frenare la deleteria invasione di padroncini? Non penserà mica di continuare a trastullarsi con la farsa dei giorni d’attesa necessari all’artigiano UE per poter lavorare in Svizzera, vero? Tanto più che questa misuricchia accompagnatoria verrà spazzata via con la sottoscrizione dello sconcio accordo quadro istituzionale bramata dal triciclo?

Lorenzo Quadri