Dopo 5 anni, il Belpaese è pronto a firmare? Vuol dire che è l’unico a guadagnarci!
Come volevasi dimostrare, in materia di fiscalità dei frontalieri la presa per i fondelli prosegue ad oltranza!
Da un po’ di tempo i camerieri dell’UE in Consiglio federale ripetono come pappagalli che la firma del nuovo accordo fiscale con l’Italia sarebbe prevista “entro la fine dell’anno”. Ovviamente senza indicare di quale anno. Inutile ribadire che è dal 2015 che la sottoscrizione del trattato viene spacciata come “imminente”. Anche quando non lo è affatto. Facile capire il perché di queste fole. Con il ricatto, il governicchio federale vuole tenere buoni i ticinesotti. Vuole costringerli a continuare a versare i ristorni, “per non rovinare il lavoro fatto fin qui, ad un passo dal traguardo”. Ed intanto i ristorni sono lievitati a quasi 100 milioni di franchetti all’anno (95, secondo l’ultima informazione ufficiale disponibile). Soldi di cui avremmo bisogno “in casa” come del pane.
Senza dimenticare che in marzo lo stramaledetto virus cinese ci ha IMPESTATI, con conseguente disastroso lockdown, per colpa delle frontiere spalancate sulla Lombardia, ai tempi principale focolaio dell’Occidente.
La Corazzata Potemkin
Nelle scorse settimane a spizzichi e bocconi sono usciti più nel dettaglio i contenuti del fantomatico nuovo accordo fiscale. Come c’era da aspettarsi, sono l’equivalente della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria: una cagata pazzesca!
Si potrebbe anche citare (sempre per restare nel Belpaese) il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “cambiare nulla affinché tutto cambi”.
Pare infatti che il nuovo regime fiscale, che prevede un moderato aumento della tassazione per i frontalieri, si applicherà solo ai nuovi permessi G. E che in ogni caso i ristorni saranno versati per altri 15 anni.
15 anni per 100 milioni all’anno fanno un miliardo e mezzo regalato ai vicini a sud!
A queste condizioni…
Ultima dichiarazione perentoria dei sindacati italici: “Il mantenimento dei diritti acquisti dei frontalieri fino al pensionamento è uno dei punti cardine dell’intesa italo-svizzera”.
A queste condizioni, può anche darsi che la vicina Repubblica sia disposta a firmare il nuovo accordo. Infatti per i 70mila frontalieri attuali non cambierebbe nulla! Gli svizzerotti si sono di nuovo fatti infinocchiare!
Ed intanto, ovviamente, tutto tace sul fronte dell’accesso degli operatori elvetici alla piazza finanziaria d’Oltreconfine, tutt’ora precluso in violazione del diritto internazionale.
Le briciole
E’ ovvio che un accordo fiscale così come si profila è solo nell’interesse dell’Italia. Noi riceveremmo le briciole (nuove regole unicamente per i frontalieri futuri, ristorni da versare ancora per 15 anni, aumento degli introiti, anche con la nuova regolamentazione, di appena una dozzina di milioni di Fr all’anno, eccetera). I ristorni sparirebbero, ma senza una contropartita adeguata. Di conseguenza, il Ticino si troverebbe privato del suo mezzo di pressione più potente – ovviamente gli esponenti del triciclo nel governicchio cantonale devono anche avere la volontà di servirsene, ma questo è un altro discorso – per richiamare all’ordine gli italici: il blocco dei ristorni, appunto. A questa arma rinunceremmo senza portare a casa quasi nulla!
Complimenti ai balivi bernesi, applausi a scena aperta!
Non sta bene a noi!
A questo punto la domanda non è più se il Belpaese intende o no firmare la nuova ciofeca (=caffè scadente, brodaglia). La domanda è se un accordo del genere sta bene a noi! E la risposta non può che essere negativa. A maggior ragione in periodo di devastante crisi economica da virus cinese e di conti pubblici in profondo rosso.
Adesso il Ticino versa ogni anno all’Italia quasi 100 milioni di Fr, che sono il 38.8% delle imposte alla fonte prelevate ai frontalieri. L’obiettivo deve essere quello di far rimanere qui questi 100 milioni all’anno. Ovvero: la Svizzera si tiene tutta l’imposta alla fonte. Il Belpaese dal canto suo imporrà i frontalieri per la differenza che intercorre tra l’aliquota fiscale applicata ai lavoratori italiani che vivono in Italia e l’imposta alla fonte elvetica prelevata ai permessi G (assai inferiore).
In questo modo, i frontalieri pagherebbero le tasse come i cittadini italiani che lavorano in Italia. Adesso invece sono dei privilegiati fiscali. Ed il Belpaese si ostina, per motivi elelttorali, a mantenere in piedi questo privilegio, che viene finanziato con i soldi dei contribuenti italiani non frontalieri.
Via la Convenzione
Morale della favola: o così – o comunque, vicini a così – oppure semplicemente si DISDICE la vetusta Convenzione del 1974 e al Belpaese non si versa più un centesimo. Del resto, come detto e scritto un’infinità di volte, il Lussemburgo, Stato membro UE, a Francia e Germania per i frontalieri attivi sul proprio territorio versa ZERO.
Se il nuovo accordo-ciofeca va “improvvisamente” bene alla Vicina Penisola (perché i negoziatori svizzerotti, more solito, hanno abbassato le braghe ad altezza caviglia) non va più bene a noi.
Quindi, via la Convenzione del 1974 e ci teniamo la totalità delle imposte alla fonte prelevate ai frontalieri. Poi i vicini a sud possono anche mandare i carri armati al confine: vedremo chi ci perderà di più.
Lorenzo Quadri