Una riforma da sostenere “turandosi il naso”: perché è comunque meglio che niente

In Consiglio nazionale l’intera giornata di mercoledì è stata dedicata al dibattito sulla cosiddetta Riforma fiscale 17. La riforma nasce dalla necessità di abbandonare i regimi fiscali delle holding, non più compatibili con il diritto internazionale. Ringraziamo i fan (zerbini) del diritto internazionale; quelli a cui farsi schiacciare gli ordini dall’estero piace assai. Sta di fatto che i regimi fiscali attuali non verranno più accettati e quindi delle due l’una. O si resta alla finestra a guardare mentre le holding con i relativi posti di lavoro lasciano la Svizzera per trasferirsi in altri lidi fiscalmente più vantaggiosi, creando migliaia di nuovi disoccupati nel nostro Paese; oppure si trovano delle alternative per mantenerle qui.

Inutile dire che la gauche-caviar, che solo a sentire le parole “competitività fiscale” diventa cianotica, preferirebbe veder sparire gli impieghi e perdere tutto il gettito delle holding. Una posizione che fa ridere i polli se si pensa che, quando si tratta delle proprie saccocce personali, i kompagni l’ottimizzazione fiscale la praticano eccome: vedi il caso eclatante della milionaria esentasse Margret Kiener Nellen, deputata P$$ in Consiglio nazionale. Due pesi e due misure. Come sempre.

Quel certo déjà-vu

La nuova riforma fiscale sostituisce la Riforma III della fiscalità delle imprese bocciata dal popolo svizzero (ma accettata in Ticino) nel febbraio 2017. Ma come far sì che ciò che è già stato rifiutato in precedenza venga accettato questa volta? Ecco che arriva il colpo di genio (?) del Consiglio degli Stati: legare gli sgravi alle aziende ad un finanziamento all’AVS.

Ohibò, qui c’è come una certa qual sensazione di déjà-vu. L’inciucio tra fiscalità e socialità ricorda qualcosa: ed infatti sembra che a Berna sia stato fatto il copia-incolla della riformetta fisco-sociale ticinese, approvata alle urne per il rotto della cuffia lo scorso aprile. Nella Camera del popolo, gli scettici hanno definito a più riprese tale operazione un  “mercato delle vacche”. Certamente l’inciucio è problematico dal punto di vista democratico. Nel caso, assai probabile, di un referendum, il popolo non potrà dire Sì alla parte fiscale e No alla parte AVS, o il contrario. Potrà solo prendere o lasciare l’intero pacchetto. Non è la prima volta che succede. Tuttavia 1) un’iniziativa popolare con gli stessi contenuti verrebbe affossata per mancato rispetto del requisito dell’unità della materia e 2) chi ritiene che il pastrocchio fisco-sociale verrà accettato in votazione popolare perché ogni cittadino potrà trovare qualcosa che gli piace, dimentica che potrebbe instaurarsi la logica esattamente contraria: ovvero, chiunque potrebbe trovare qualcosa che non gli piace.

Tirando le somme

La riforma federale “fiscosociale” non entusiasma nessuno. Perfino i soldatini di Economiesuisse sono a meno che tiepidi.  Quanto ai soldi extra che entreranno nelle casse dell’AVS, è bene ricordarlo, proverranno soprattutto dai contributi dei lavoratori.

Morale della favola: la riforma va accettata “turandosi il naso”, perché questa (mediocre) riforma è meglio di nessuna riforma. Se il popolo svizzero dicesse ancora una volta No, resteremmo fermi al palo per anni. Nel frattempo, le aziende prenderebbero il volo. Con esse i posti di lavoro.

Un paio di cosette vanno però sottolineate.

  • La Lega si è opposta al tentativo di contrabbandare in questa riforma “fiscosociale” l’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni;
  • Il triciclo PLR-PPD-P$$ non ne ha voluto sapere di votare delle proposte, formulate dall’Udc, che chiedevano che i finti rifugiati non beneficiassero di rendite superiori a quelle dei pensionati svizzeri (attualmente è così) e di risparmiare sugli inutili aiuti all’estero.

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