Visto che, e questo non stupisce, a Berna sull’applicazione dell’articolo costituzionale contro l’immigrazione di massa tentano di fare i furbi, un paio di precisazioni non fanno male.
Che qualcuno tenti, maldestramente, di svicolare non deve sorprendere particolarmente: la votazione del 9 febbraio, quindi di tre mesi fa, è una clamorosa sconfessione di anni di politica federale improntata al sordido servilismo nei confronti dell’unione europea. UE in cui il Consiglio federale contava di farci entrare, andando a raccontare la storiella che, in caso contrario, per la Svizzera sarebbe stato un disastro, eccetera eccetera. Tutte panzane, come ben si è visto.
Adesso c’è chi vorrebbe che dai contingenti votati tre mesi fa venissero esclusi i frontalieri. A formulare questa delirante ipotesi, alcune associazioni di categoria d’Oltregottardo. E’ chiaro che non se ne parla nemmeno. Tanto più che i frontalieri sono esplicitamente citati nel testo dell’iniziativa, diventato disposto costituzionale. E non per caso: ma perché i rappresentanti ticinesi del gruppo promotore hanno insistito perché così fosse. Del resto anche nell’Udc nazionale si è fatta strada la consapevolezza che l’invasione di frontalieri e di padroncini per il Ticino è semplicemente una catastrofe: quindi il contingentamento e la priorità dei residenti è, semplicemente, un obbligo.
La tempistica non è un optional
Il 70% dei ticinesi ha plebiscitato l’iniziativa Contro l’immigrazione di massa, voto che – ricordiamocelo – è stato determinante per l’esito della votazione a livello nazionale, principalmente per le deleterie conseguenze del frontalierato senza limiti sul mercato del lavoro ticinese. E la pressione da sud non è minimamente destinata a diminuire, anzi: nella provincia di Varese, quindi non a Caltanissetta, quasi un giovane su due non ha lavoro e il numero dei disoccupati ha raggiunto la quota record di 35mila (notizia divulgata di recente dalla camera di commercio di Varese).
Il nuovo articolo 121a della Costituzione federale si riferisce infatti, al capoverso 3, a tutti gli stranieri che esercitano un’attività lucrativa. Quindi, ed è bene sottolinearlo, a venire contingentati dovranno essere certamente i frontalieri, ma anche i padroncini ed i distaccati. Su questo aspetto ha giustamente insistito anche il Consiglio di Stato nella sua presa di posizione del 5 maggio all’indirizzo dell’Ufficio federale della migrazione (vuoi vedere che anche a Palazzo delle Orsoline comincia ad accendersi qualche lampadina?). E’ evidente che un’applicazione diversa del voto del 9 febbraio sarebbe uno scandalo, ma soprattutto sarebbe contraria alla stessa Costituzione. Sicché il quesito neppure si pone.
E’ poi chiaro che i contingenti li decideranno poi i vari cantoni, dal momento che non esiste un mercato del lavoro svizzero, ma vari mercati del lavoro regionali. Ognuno con le sue caratteristiche. Anche quello che “mena il gesso” è perfettamente consapevole che non si può certo fare un paragone tra quello che succede in Ticino e quello che succede, ad esempio, nel Canton Zurigo.
Solo gli inquisiti della SECO utilizzavano la fregnaccia delle statistiche nazionali “dalle quali non emergerebbe che…” per sostenere, contro l’evidenza dei fatti, che in Ticino con la devastante libera circolazione delle persone va tutto bene.
Altrettanto chiaro è che le misure accompagnatorie vanno mantenute ed anzi rafforzate. Che servano a poco l’hanno capito tutti: ma poco è sempre meglio che niente; e comunque non c’è alcun motivo per rinunciare a quel poco.
Tempistica
Rimane inoltre aperta la questione della tempistica dell’applicazione del disposto costituzionale. Aspettare tre anni non sta né in cielo né in terra, visto che c’è urgenza di agire subito. Più si aspetta più aumentano le persone in assistenza, gli artigiani e le piccole aziende che chiudono, e via elencando. Forse che per curare un malato grave si aspettano tre anni?
Lorenzo Quadri