La sconsigliera federala PLR assesta l’ennesimo colpo al mercato del lavoro ticinese

L’Ufficio federale di statistica ha imboscato gli ultimi dati sui frontalieri. La pubblicazione delle nuove statistiche era annunciata per giovedì 9 novembre. Invece è stata rinviata a dicembre.

Comunque, non ci vuole  molta fantasia per immaginare cosa diranno le cifre. Ossia che, grazie alla devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia, il numero di frontalieri in Ticino è ancora aumentato. Ed in particolare in quei settori dove non c’è alcuna carenza di manodopera residente.

Ma naturalmente la casta si ostinerà a raccontare che “l’è tüt a posct”, citando i soliti dati taroccati della SECO sulla disoccupazione: i quali non quantificano affatto i senza lavoro, ma solo le persone iscritte agli URC.

Il mantra

La presunta carenza di manodopera viene usata come un mantra dagli immigrazionisti e dalla stampa di regime per convincere il popolazzo che bisogna far entrare tutti. Così gli svizzeri diventano minoritari in casa propria e si estinguono. Vedi al proposito l’approfondimento pubblicato dal Mattino della scorsa settimana sulle persone “con passato migratorio” presenti nel nostro Paese.

L’immigrazione scriteriata voluta dalla partitocrazia aggrava la carenza di manodopera, altro che risolverla. Infatti più aumenta la popolazione più serve personale medico, scolastico, eccetera: ovvero proprio le figure che non si trovano. 

Di recente la presidenta del sindacato dei docenti della Svizzera tedesca sottolineava i problemi provocati dalla penuria di insegnanti, senza naturalmente dire che dietro questa situazione c’è la politica delle frontiere spalancate. Questa politica fa impennare il numero di allievi, ed in particolare di quelli alloglotti e non di rado pure problematici. Il risultato è che servono sempre più docenti (oltre a varie figure psico-pedagogiche che costano una paccata di soldi).

Serbatoio snobbato

Intanto che gli immigrazionisti ripetono come dei dischi rotti che “manca manodopera”, un importante bacino di forza lavoro viene snobbato dal mercato. Si tratta degli ultracinquantenni, come scriveva il CdT in un approfondimento pubblicato la scorsa settimana. Con la libera circolazione delle persone, è molto più semplice assumere frontalieri al posto di lavoratori “maturi” e pagarli la metà. La situazione è destinata a peggiorare ancora. Grazie alla sconsigliera federala PLR Karin Keller Sutter (Ka-Ka-eS) che va a firmare accordi del piffero con il Belpaese, i frontalieri italiani dal primo gennaio potranno stare in home office per il 25% del tempo lavorativo. Questa decisione è disastrosa. Agevola ulteriormente l’assunzione di frontalieri proprio in quei settori dove i permessi G non ci dovrebbero nemmeno essere. Perché è ovvio che lo smartworking lo può praticare solo chi lavora in ufficio. Eccoli qua, i grandi statisti liblab! Ma avanti, votate per l’ex partitone…

Pure gli ucraini

E’ il colmo: gli svizzeri – ed in particolare i ticinesi – disoccupati non mancano di certo; però i camerieri bernesi di Bruxelles promuovono addirittura l’assunzione di profughi ucraini. Prima il governicchio federale prolunga ad oltranza lo statuto S col risultato di attirare qui frotte di ucraini: infatti i privilegi che detto statuto offre, negli altri paesi europei mica esistono. Poi però il CF racconta che bisogna dare un lavoro ai profughi, affinché non pesino sulle casse pubbliche e si “integrino” (ma come: il permesso S non era “orientato al rimpatrio”?). E intanto i “nostri” rimangono in disoccupazione.

Salvaguardia

A maggior ragione dopo la firma dello sciagurato accordo sullo smartworking con il Belpaese, occorre puntare su clausole di salvaguardia del mercato del lavoro ticinese. 

Forse la nuova fiscalità dei frontalieri renderà il Ticino un po’ meno attrattivo, ma questo deterrente viene ampiamente compensato già solo dal cambio franco-euro: dunque l’assalto alla diligenza continuerà! E da parecchio tempo il numero dei nuovi frontalieri supera quello dei posti di lavoro creati.

Abbiamo più volte detto che serve un ulteriore prelievo alla fonte sui salari dei permessi G, per tener conto della differenza del costo della vita tra i due versanti della ramina, oltre che dei consistenti aumenti salariali generati dal cambio a beneficio dei frontalieri. Ma naturalmente, davanti ad ipotesi di questo tipo, il Triciclo strilla che “sa po’ mia”.

Responsabilità sociale

E’ inoltre fondamentale che quel “serbatoio di manodopera indigena che non viene sfruttato” (cit. CdT) venga utilizzato. 

La scorsa settimana il DFE e la Divisione socialità della città di Lugano hanno organizzato al Palazzo dei Congressi di Lugano un evento – molto frequentato – sull’economia sostenibile; la quale deve avere tra le proprie caratteristiche l’impiego di manodopera locale; a partire da  quella del “serbatoio non sfruttato” (responsabilità sociale nei confronti del territorio). Questo tipo di promozione e di sensibilizzazione deve continuare nel tempo. Non farà miracoli, ma tutto aiuta.

E i ristorni?

C’è poi sempre il capitolo dei ristorni dei frontalieri, che ormai hanno raggiunto la stratosferica quota di 107 milioni di franchi. E’ il colmo: si taglia sui sussidi di cassa malati ma non si riesce a trattenere almeno una percentuale dei ristorni dei frontalieri sul nostro territorio, per promuovere l’assunzione dei residenti? Si tratterebbe di un utilizzo vincolato al contenimento del danno occupazionale provocato dall’invasione da sud: quindi equo e facile da giustificare. Sü i calzett!

Lorenzo Quadri