Il virus è giunto da noi dalla Lombardia per colpa delle frontiere spalancate, ma loro…
Con una faccia di lamiera che non conosce limiti, alcuni legulei, sindaci e politicanti d’oltreramina hanno trovato un nuovo filone al quale attaccarsi: i frontalieri che si sarebbero contagiati col coronavirus “sul lavoro”, ovvero in Ticino.
E’ proprio il colmo. Se questo sfigatissimo Cantone si ritrova con tassi di contagio da record mondiale o giù di lì, è a causa delle frontiere spalancate con il Belpaese. I camerieri dell’UE in Consiglio federale, come pure i soldatini della partitocrazia, si sono rifiutati di chiuderle quando era tempo. Il ministro degli esteri PLR KrankenCassis si è bullato di aver chiesto lui al suo omologo Giggino Di Maio di lasciar passare i frontalieri. E, visto che nei nostri ospedali non ci sono posti a sufficienza per noi (così ci viene detto) sempre il doppiopassaporto Cassis vuole fare arrivare in Svizzera, ossia in Ticino, pazienti italiani. E’ il colmo! Grazie PLR per regalare al Paese simili grandi statisti!
Il kompagno Berset, anch’egli calato a sud delle Alpi nel vano tentativo di risollevare l’immagine del Consiglio federale, ha dal canto suo dichiarato che “i virus non si fermano al confine”, affermazione che meriterebbe (se esistesse) il premio della “cagata pazzesca” (cit. Fantozzi) dell’anno.
Morale: per non aver voluto intervenire quando era tempo, perché per certi politicanti la libera circolazione viene prima delle emergenze sanitarie, adesso, sul fronte del maledetto virus, ci troviamo immersi a nella palta come palombari.
E dunque, può benissimo darsi che ci siano dei frontalieri che si contagiano in Ticino. Ma ad impestare il Ticino è stata la Lombardia.
Il leguleio tricolore
E che dire di quel leguleio tricolore che nei giorni scorsi sulla stampa italica si lamentava del fatto che “i frontalieri, non avendo una cassa malati, se ricoverati in Ticino rischiano di dover anticipare i costi”?
Eh già: i frontalieri non sono obbligati ad avere la cassa malati svizzera. Ma nemmeno gli è proibito assicurarsi da noi. Hanno la scelta. Poi, chissà come mai, ben pochi lo fanno: perché è molto più conveniente portarsi a casa lo stipendio svizzero – non di rado sputando nel piatto dove si mangia – ma senza dover far fronte ai costi della vita del nostro paese. A cominciare proprio da quelli, sempre più stratosferici, dell’assicurazione malattia.
Hai scelto come frontaliere di non affiliarti alla cassa malati degli svizzerotti, perché non ti conveniva? Evidentemente te ne assumi le conseguenze.
Il mondo gira al contario
Proprio quei comuni della fascia italica di confine che campano grazie ai ristorni dei frontalieri si lamentano di loro abitanti contagiati in Ticino. Quando tutto il Ticino è stato contagiato dalla Lombardia. Ma allora è vero che il mondo gira al contrario!
E sarebbe davvero il colmo se Stati come la Vicina Penisola, che hanno approfittato alla grande della libera circolazione delle persone con la Svizzera, senza la quale dovrebbero provvedere loro a creare impieghi per i propri concittadini, osassero anche solo pensare di richiamare in patria il proprio personale sanitario attivo in Ticino. Già un solo accenno a tale eventualità da parte italiana meriterebbe il blocco immediato dei ristorni e la disdetta della libera circolazione.
Danni evidenti
I danni della devastante libera circolazione delle persone emergono in tutta la loro evidenza. C’è chi, anche nel settore sanitario, si è stipato di permessi G diventando, di conseguenza, dipendente da un paese straniero. Dipendente significa ricattabile. Pensavano, questi signori, che le frontiere spalancate fossero una realtà immutabile, scolpita nella pietra. Ebbene, non è così. La lezione del coronavirus è chiara anche ai più duri di comprendonio: il personale necessario al funzionamento di settori vitali deve essere formato in Svizzera.
Passata l’emergenza generata della maledetta pandemia, di cose ne dovranno cambiare tante. Ma tante.
Lorenzo Quadri