Ah beh, questa sì che una sorpresona! Il numero dei frontalieri in questo ridente  Cantone è di nuovo aumentato, arrivando così ad infrangere l’ennesimo record. Attualmente sono 62’555, con un aumento dell’1.3% rispetto ai tre mesi precedenti. Ad essi bisogna naturalmente aggiungere lo sfacelo di padroncini e distaccati che ogni giorno entrano in Ticino a lavorare, naturalmente in nero.

Come hanno capito anche i paracarri, l’unico modo efficace per mettere i bastoni tra le ruote ai padroncini che arrivano in Ticino praticando prezzi inconcepibili per chi deve pagare tasse, stipendi, oneri sociali e cassa malati da noi, è trasmettere le loro notifiche all’agenzia delle entrate italiana. Il giochetto di praticare prezzi stracciati, che tagliano fuori i ticinesi, diventa ben più difficile se bisogna fare i conti con il fisco predatorio della vicina Penisola. Quest’ultimo, sempre affamato di entrate, dovrebbe essere interessato, e tanto, a simili informazioni. Il condizionale è  però d’obbligo perché, come ben si vede in materia di fiscalità dei frontalieri, i politicanti della vicina Penisola sono sempre pronti a  mantenere in piedi privilegi insensati (poi pagati dai contribuenti che vivono e lavorano in Italia) in cambio di qualche voto.

Regali scriteriati

“Gli è che” a Berna hanno svenduto il segreto bancario e sfasciato la piazza finanziaria. In campo di banche, si vuole la trasparenza totale. Quando si tratta però di combattere l’evasione fiscale dei padroncini, ciò che andrebbe a vantaggio dell’economia ticinese, ecco che si alza il consueto muro dei gomma dei “sa po’ mia”!

Altro esempio: la solita ministra del 5% Widmer Schlumpf, quella che pensa di rendersi simpatica intensificando le visite in Ticino, invece di tassare di più i frontalieri gli fa degli scandalosi regali fiscali. Ha infatti licenziato lo scellerato progetto di legge che vorrebbe accordare ai frontalieri le stesse deduzioni fiscali dei residenti. Ma sa po’?

Lavarsi la coscienza

E’ fin troppo evidente che i rappresentanti dei partiti storici, a Berna come a Bellinzona, si adagiano sullo statu quo. Il Ticino si trova con il mercato del lavoro devastato dalla libera circolazione delle persone senza alcun limite, ma chi dovrebbe intervenire si trastulla. Si lava la coscienza con le statistiche farlocche della SECO, da cui “non risulta che”; statistiche che vengono taroccate apposta per nascondere i problemi.

Se c’è un problema che mai si risolverà da solo è proprio quello dell’invasione da sud del mercato del lavoro ticinese. Anzi, più passa il tempo e più peggiora. In campo di occupazione, l’Italia è alla canna del gas, Lombardia compresa. Eppure la scelta di Berna è quella di abbandonare il Ticino al proprio destino. In caso contrario, non arriverebbe a contestare tutte le (troppo poche) misure che questo Cantone ha preso, di propria iniziativa, per tutelarsi: come l’aumento del moltiplicatore comunale per i frontalieri e l’estratto del casellario giudiziale.

Due strade

Che mezzi ha disposizione la popolazione ticinese per farsi valere? Uno è il voto popolare, di cui si è fatto buon uso il 9 febbraio. Ma se questo voto viene snobbato, denigrato e sabotato, allora rimane l’altro mezzo: l’esplosione di rabbia popolare in piazza. A Berna ci pensino. Coi tempi che corrono, cullarsi nell’illusione che i ticinesotti possano essere continuamente bastonati senza conseguenze “perché tanto in Svizzera certe cose non succedono” può essere rischioso. Chiaro il messaggio?

Lorenzo Quadri