Forse i grandi scienziati del mercato del lavoro dovrebbero evitare di prendere in giro la gente.
Venerdì l’IRE ha avuto la bella idea di presentare uno studio dal quale emergerebbe che i frontalieri in Ticino non costituirebbero alcun problema e non porterebbero via il lavoro ai Ticinesi. Ma quando mai!
Probabilmente i frontalieri non portano via il lavoro ai ricercatori dell’IRE in quanto questi ultimi godono di protezioni politiche.
Un primo dato elementare: se in Ticino il numero dei disoccupati residenti aumenta, e il numero dei frontalieri aumenta anch’esso, questa non è già una prova evidente che a lavorare in Ticino non sono più i residenti ma i frontalieri? Capiamo la necessità, per l’IRE, di produrre studi atti a parare il didietro alle autorità politiche patrocinanti, le quali portano pesantissime responsabilità per la situazione attuale, avendo sempre sostenuto la deleteria libera circolazione delle persone. Ma bisognerebbe almeno evitare le provocazioni, come la tesi secondo cui non ci sarebbe sostituzione sistematica (?) di manodopera locale con frontalieri, ma semmai “un fenomeno di abbinamento non pienamente soddisfatto tra domanda di lavoro e offerta per il mercato interno”. L’ “abbinamento” non è “pienamente soddisfatto” forse perché la domanda di lavoro è del tipo: “cercasi segretarie disposte a lavorare a tempo pieno per 1800 Fr al mese”?
Ancora una volta ci troviamo davanti alla ben nota bufala dei “casi isolati”, bufala già ripetuta ad oltranza in materia di criminalità transfrontaliera: non era vero niente, erano tutte frottole della Lega populista e razzista. Ed infatti, adesso il Mendrisiotto è ridotto come il Far West. Qui è la stessa cosa.
Se invece di trastullarsi con statistiche tarocche i Nobel dell’IRE uscissero dall’ufficio e si guardassero in giro, si accorgerebbero forse che le cose non stanno affatto come dicono loro, e che la sostituzione di lavoratori ticinesi con frontalieri è una drammatica realtà. E non ci si venga per favore a raccontare la fregnaccia secondo cui il livello di formazione italiano, dove le lauree si comprano, è più elevato di quello svizzero. Semmai accade che, col preciso scopo di tagliar fuori i candidati residenti, si pretendano lauree anche per dei posti di addetto alla sicurezza.
Chi decide le assunzioni?
Altra preoccupante realtà è che in svariati ambiti e perfino nel settore parapubblico vengono assunti responsabili e capetti frontalieri, i quali importano poi la corte di compaesani. Perché «tanto gli svizzeri sono scemi e non si accorgono di niente». E il residente che bussa alla porta alla ricerca di un impiego viene allontanato in malo modo.
Poiché conosciamo persone che lavorano in grosse fiduciarie, sappiamo bene che anche sulla piazza finanziaria di ticinesi, a seguito delle iniziative tremontiane, ne sono stati lasciati a casa e non pochi; i frontalieri, invece, sono ancora tutti al loro posto. Per non parlare delle venditrici ticinesi licenziate e sostituite da ragazze frontaliere, dei frontalieri assunti alla SUPSI e all’USI quali ricercatori invece dei candidati ticinesi e non certo perché meglio qualificati, ma perché i professori vengono da Oltreconfine, dei frontalieri negli uffici (altro che cantieri!) e così via.
Contrariamente all’IRE, alla redazione del Mattino della domenica arrivano quotidianamente lettere di ticinesi che non trovano lavoro poiché gli impieghi vanno a persone in arrivo da Oltreconfine. Agli autori di questi scritti, suggeriamo di telefonare direttamente all’IRE per chiarire ai grandi scienziati un paio di cosette che succedono sul nostro territorio, al di fuori dei loro uffici, e che, agli scienziati in questione, evidentemente sfuggono…
Lorenzo Quadri