Ma che boiate racconta il buon Cassis in Consiglio nazionale? E dovremmo bercele?
In questi tempi grami di coronavirus e relativi coprifuoco, c’è almeno una notizia “divertente”. Il ministro degli esteri binazionale Ignazio KrankenCassis – quello che, da medico e da “ticinese”, invece di chiudere le frontiere va in giro a bullarsi che “abbiamo chiesto noi all’Italia di lasciar entrare in Ticino i 70mila frontalieri” – ancora crede che il Belpaese firmerà il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Ci sarebbe davvero da ridere, se non ci fosse da piangere!
L’accordo in questione ha di recente festeggiato i 5 anni di vita, essendo stato parafato nel febbraio del 2015 (di recente sul Mattino abbiamo celebrato questa ricorrenza).
Ai tempi, lo ricordiamo per chi se ne fosse dimenticato, l’allora ministra del 5% Widmer Schlumpf in un incontro con la deputazionicchia ticinese a Berna dichiarò che la firma era imminente, e che, se non fosse arrivata entro l’estate (estate 2015!), la Svizzera avrebbe preso delle “misure unilaterali”, come la denuncia dell’ormai famosa Convenzione del 1974 sui ristorni dei frontalieri. E ovviamente, se il Belpaese non avesse firmato, il governicchio cantonale avrebbe avuto il via libera per bloccare i ristorni.
5 anni, non 5 mesi!
Sono passati 5 anni, ma nessun governo italiano di nessun colore – nel frattempo se ne sono avvicendati tre – ha mai voluto sottoscrivere l’accordo in questione. Il perché è ormai chiaro anche ai paracarri: il nuovo accordo comporterebbe un aggravio fiscale per i frontalieri. E Roma, evidentemente, è inginocchiata davanti ai titolari di un permesso G. Lo si è visto anche con l’emergenza coronavirus. Prima, la sera del sette marzo, il Consiglio dei ministri ha stabilito che tutta la Lombardia è zona rossa, dalla quale si può entrare ed uscire solo per motivi lavorativi e personali “gravi ed urgenti”. Dopo qualche ora, aveva già taroccato il proprio decreto stabilendo che qualsiasi motivo lavorativo era sufficiente per entrare ed uscire dalla “zona rossa”.
Prolungare il limbo?
Dopo 5 anni di nulla di fatto, non c’è alcun motivo di ritenere che le cose cambieranno ora! Fa letteralmente ridere i polli che un paio di settimane fa il buon Cassis se ne sia uscito a dire in Consiglio nazionale, rispondendo ad una domanda di chi scrive, che ci sono dei “timidi segnali d’apertura dall’Italia”. Naturalmente senza indicare quali sarebbero questi “timidi segnali”.
E qualcuno dovrebbe bersi questa favoletta? Ancora peggiori, tuttavia, le affermazioni successive, in cui tranquillamente il ministro ha affermato che le trattative non verranno mai dichiarate fallite, perché “ciò a livello internazionale accade molto di rado”. Ossignùr. Mantenere aperte le trattative significa prolungare all’infinito il limbo attuale, e di conseguenza anche la presa per i fondelli! A maggior ragione quando si fanno balenare “timidi segnali di apertura” – cosa assai credibile in piena emergenza coronavirus: come no! – che, ammesso e non concesso che siano reali, servono solo al Belpaese per menare ulteriormente il can per l’aia.
Disdire la convenzione
E’ quindi evidente che il Consiglio federale deve dichiarare fallite le trattative e disdire la convenzione del 1974. Mentre il governicchio cantonale deve bloccare SUBITO i ristorni. Si parla infatti di 84 milioni di franchetti all’anno che torneranno assai comodi anche per sostenere l’economia messa nella palta dal coronavirus. Ovviamente, non quell’economia che ha assunto frontalieri a go-go lasciando a casa i ticinesi per farcirsi le già rigonfie saccocce!
Promemoria per i politicanti della partitocrazia eurolecchina: il Lussemburgo (Stato membro UE e pure fondatore), per i frontalieri attivi sul proprio territorio, versa ZERO ristorni!
Lorenzo Quadri