La situazione è già indecorosa di suo, non serve fantasticare su possibili spionaggi
Nel Canton Ginevra è divampata la polemica sulla nomina a direttrice del fisco di una funzionaria frontaliera. Nel concreto si tratta di una donna con la doppia nazionalità, svizzera e francese, residente in Francia. La quale avrà accesso a dati fiscali confidenziali. E c’è chi, come il giornale Les Observateures, si è spinto ad ipotizzare che la donna potrebbe essere addirittura un’agente al soldo della Francia. Una spia di Parigi infiltrata nelle dichiarazioni fiscali ginevrine.
Un deputato cantonale PLR deplora la scelta di una frontaliera evidenziando problemi di protezione dei dati: “cosa succederebbe se la neo-direttrice del fisco dovesse perdere il suo telefonino in Francia, o se il suo computer dovesse venire hackerato dopo aver superato la frontiera?”. Un assist che ha permesso al direttore del Dipartimento cantonale delle finanze di spiegare che nella sua precedente mansione la funzionaria frontaliera aveva accesso ai medesimi dati e che comunque i suoi supporti elettronici sono criptati.
Autocensura
Ecco un bell’esempio di cosa succede quando per deplorevoli esigenze di autocensura – dettata dalla paura dell’ignominiosa etichetta, quella di “populista e razzista” – ci si arrampica sui vetri nel tentativo di cercare di giustificare una posizione, che è sacrosanta, con argomenti artificiosi ma politikamente korretti.
Certo, il rischio che la direttrice frontaliera del fisco ginevrino smarrisca il telefonino o il computer oltreconfine può essere un argomento. Ma è davvero questo il punto? Evidentemente no. La questione è che nella pubblica amministrazione – a maggior ragione in posti sensibili! – bisogna assumere svizzeri, residenti in Svizzera. Si abbia una buona volta il coraggio di dirlo apertamente, come ha fatto Norman Gobbi in relazione al noto funzionario corrotto all’Ufficio della migrazione.
E non c’è alcun bisogno di giustificare questa posizione andando a parare su improbabili infiltrazioni informatiche all’estero. La preferenza indigena è realtà costituzionale, votata dal popolo. Bisogna avere il coraggio di attuarla e di affermarla. Sembra invece che si provi vergogna.
Le radici nel territorio sono requisito imprescindibile per chi si occupa di gestire la cosa pubblica. Vengono richieste – giustamente ed ovviamente – ai politici, la cui presenza è temporanea. Non le vogliamo chiedere ai funzionari che, una volta nominati, “ti saluto Rosina”? Nemmeno ai funzionari dirigenti che contano più dei politici, oltre che durare di più?
La fantasia non serve
La spiegazione prodotta dal capodipartimento finanze ginevrino ( la donna già aveva accesso ai dati confidenziali nella precedente funzione) non solo non giustifica nulla, ma è un plateale autogoal. La frontaliera con doppio passaporto non ha neppure fatto lo sforzo di spostare il domicilio in Svizzera malgrado ricoprisse un ruolo delicato nella pubblica amministrazione. E viene addirittura promossa e premiata.
La situazione è indecorosa di suo. Non c’è alcun bisogno di far volare la fantasia ed immaginare che l’alta funzionaria cantonale sia addirittura una spia francese.
Doppio passaporto
E come la mettiamo con la doppia nazionalità? Chi vuole fare carriera nell’ente pubblico, con posti di responsabilità, non può essere “servo di due padroni” (nel concreto di due passaporti). C’è tutto il diritto di pretendere che questi funzionari, qualora non siano svizzeri di nascita, rinuncino al passaporto d’origine. E di pretenderlo senza bisogno di sentirsi costretti a giustificarsi con pippe mentali politikamente korrette.
Ciò vale a maggior ragione per i politici, la cui posizione è incompatibile con la doppia nazionalità. Per ora il tema è lasciato alla sensibilità individuale (carente?). L’obiettivo futuro è di far sì che, in generale, acquisire il passaporto rosso implichi la perdita di quello d’origine. Non ci vuole il Mago Otelma per pronosticare che ciò permetterebbe inoltre di sventare un po’ di naturalizzazioni di comodo. Di sicuro non tutte, perché l’approfittatore incallito se ne frega di ogni passaporto. Ma un certo numero sì. E sarebbe già un bel risultato.
Lorenzo Quadri